mercoledì 23 gennaio 2013

In questo scritto apparso sul settimanale ALI – anno III - n. 17 del 21 giugno 1953 (prima parte), Vesco esce allo scoperto e tratta direttamente la sua teoria dei “DISCHI VOLANTI ANGLO-CANADESI” elencando (senza approfondire troppo) direttamente i vari aspetti tecnici e costruttivi dei VERI dischi volanti.
Qui possiamo apprezzare il tipo di costruzione teorica che egli ha dovuto elaborare, pensando, ragionando su come sistemare l'enorme puzzle che unisce la casistica UFO del primo periodo al più avanzato pensiero tecnologico dell'epoca.
Per un solo individuo è uno sforzo immane, fatto di studio, acquisizione dati ed elaborazione tecnico-filosofica per immaginare un quadro complessivo probabile nel quale inserire le proprie deduzioni, intuizioni ed esperienze.
Renato Vesco è il solo ricercatore in materia ufologica che è stato capace di costruire un'ipotesi iper-complessa basata su rigorosi fondamenti tecnico-scientifici e storici precisi e, per la parte tecnica, inconfutabili.
Sicuramente l'idea della paternità anglo-canadese dei DISCHI VOLANTI ha oggi l'aspetto di una forzatura ma, quando Vesco la formulò nei primissimi anni '50 basandosi sull'analisi dei vettori d'uscita dalla scena operativa di un certo numero dei primissimi casi verificatisi negli Stati Uniti, le possibilità di effettuare un'analisi realistica erano piuttosto ridotte e comunque nell'immediato dopoguerra per chi considerava i DISCHI VOLANTI macchine di origine terrestre non c'era molto da scegliere su chi fosse a lanciarli nei cieli dell'unica superpotenza esistente in quel momento: gli USA.
Quanto è scritto in questo articolo pubblicato da ALI in due parti , oltre che essere un riassunto di quanto il ricercatore genovese esporrà in modo esaustivo nella sua trilogia che sarà pubblicata molti anni dopo, è una pietra miliare tecnologica per la ricerca sugli UFO, ricerca che ancora oggi è colpevolmente deficitaria dal punto di vista della comprensione tecnica del fenomeno.

RR

I DISCHI VOLANTI ANGLO- CANADESI
COME SONO

(1^ parte)


l nostro collaboratore Renato Vesco, residente a Genova, ha speso molto tempo e molto studio per ricerche nel campo delle macchine a “portanza reattiva” - come le chiama – alle quali appartengono i cosiddetti e tanto discussi, “dischi volanti”.
Quanto egli scrive – in una forma invero un po' troppo dotta per non riuscire difficile, se non addirittura un po' oscura ai profani – abbiamo ritenuto che fosse di troppo grande interesse per tenerlo ulteriormente in attesa. Lo pubblichiamo nell'intento di dare un contributo chiarificatore e.... rivelatore dell'intera faccenda, ormai celeberrima.


L'allestimento d'intere squadriglie sperimentali di aeromobili supersonici discoidali (“Dischi volanti”) non è affatto destinato ad un prossimo futuro, come le autorità interessate vorrebbero far credere all'opinione pubblica mondiale.
I primi velati accenni a rivoluzionarie macchine volanti in fase di segreto approntamento presso i britannici ( Turleigh nel Dufordshire e successivamente stabilimenti aeronautici dell “Avro-Canada” e basi decentrate nelle zone desertiche del Canada Occidentale e forse anche dell'Australia Centrale ) risalgono all'immediato dopoguerra (1945-1946). Negli anni successivi sono le cronache che parlano di questi misteriosi velivoli con frequenza quasi quotidiana, intervallata da periodi ben definiti di intensificati avvistamenti.
Non rievocherò qui tutte le assurdità che si dissero e si scrissero sull'argomento (provenienze extraterrestri, meteoriti, macchie luminose, radiazioni di natura ignota, illusioni ottiche, ecc.) poiché alcune di esse furono profferite da bocche relativamente illustri ed è bene perciò che su di esse cada definitivamente un dignitoso oblio.
L'aeromobile discoidale canadese descritto da Amos Majani (ALI, anno III, n.12) per la semiufficialità della “rivelazione” merita invece qualche riga di commento. Innanzitutto si parte dall'ipotesi che esso sia il “VERO” disco volante anglo-canadese: è razionale e, perlomeno, realizzabile una forma del genere?




Indubbiamente “ali volanti” con pianta circolare sono costruibili e dovrebbero traslare con eccellente grado di stabilità (grazie alla stabilizzazione di natura girostatica sviluppata da gigantesco rotore annegato nello spessore della “fusoliera”) salvo gli inevitabili ed intuibili inconvenienti dovuti al noto, e qui favorevole, fenomeno della “precessione giroscopica”.
Il motore può essere una normale per quanto rarissima turbina endotermica “radiale centrifuga” con scarico (in pressione) entro un collettore tronco-anulare alimentanti i tubi propulsivi periferici.
L'irrazionalità della costruzione pseudo discoidale canadese (fatta astrazione da ogni considerazione relativa al possibile “rendimento”di un così gran numero di tubi propulsivi) non risiede dunque nell'apparato a reazione ma nella disposizione della cabina di pilotaggio.
Allorchè l'aeromobile si trasla orizzontalmente ad una determinata “incidenza” portante, la visibilità anteriore si annulla poiché la prua del velivolo in assetto cabrato togli al pilota (confinato al centro della macchina) ogni percezione visiva frontale. Anche la visibilità inferiore è assolutamente nulla (o scarsamente assicurata da un eventuale dispositivo periscopico di cui peraltro i relatori non fanno il minimo cenno). Un aeromobile del genere anziché un'arma difensiva di eccezionale potenza sarebbe sarebbe una ghiotta e ben facile preda anche per incursori di caratteristiche nettamente inferiori.










Una disposizione così atta non può ingannare un tecnico degno di tale nome ed è sorprendente il fatto che i Britannici ritengano credibile un dettaglio tanto ingenuamente negativo quando assai più razionalmente avrebbero potuto far credere che la cabina è collocata sulla prua del velivolo con pilota in posizione prona, come auspicato da tempo per i velivoli supersonici.
Un gran numero di avvistamenti è caratterizzato dal fatto che l'ordigno o gli ordigni aerei stazionavano nello spazio “cabrando” poi (spesso fulmineamente) in linea nettamente verticale a guisa di potentissimi elicotteri: è dunque dimostrato che essi possono decollare e d atterrare sulla verticale della base di lancio. Pertanto risultano assolutamente superflui i piloni di lancio, i razzi di decollo, lo sperone di atterraggio, il “tappeto elastico” e tutte le più o meno ingegnose elucubrazioni relative.
Il “segreto” di tali manovre concerne semmai unicamente il dispositivo di propulsione che le rende possibili. Su queste noterò soltanto che ciò che gli articolisti chiamano con termine bizzarro “Motore-giroscopio” è uno speciale rotore (rotoreattore) che caratterizza l'intera costruzione conferendole qualità dinamiche eccezionali ed imponendo l'adozione di materiali vetrosi ( fiberglas e simili) e porosi genericamente designati col nome di “resine sintetiche o materiali plastici” La rotoreazione comporta inoltre un assetto traslatorio della macchina volante “ad incidenza negativa” : straordinario assetto (solo apparentemente normale) fotograficamente documentato e dovuto alla necessità di scindere vettorialmente la “spinta” generata dal complesso “rotoreattore-ala anulare” in due componenti, una delle quali “portante”, l'altra “traente”. Noterò inoltre per incidenza che detta “spinta” può essere fornita per circuitazione aerodinamica forzata o per “getti reattivi” puri, a seconda del regime cinetico assunto volta a volta dall'aeromobile.



In realtà dunque sui “VERI” Dischi Volanti anglo-canadesi la cabina si trova effettivamente al centro dell'ordigno (sdoppiata in una cabina emisferica dorsale ed una torretta periscopica parimenti emisferica ma ventrale). Le macchine volanti hanno però una forma nettamente circolare (senza tubi di scarico, timoni, prese frontali o altri elementi visibili) e non già una pianta ellittica o a losanga!
Come conciliare infatti i cosiddetti “getti falcati radiali” che talvolta attorniano gli ordigni aerostazionanti nello spazio, con la miriade di bocche d'efflusso orientate unidirezionalmente ed esclusivamente laterali e poppiere che caratterizzano lo pseudo-disco canadese?



Insisto sull'esatta forma circolare poiché il dettaglio è di primaria importanza. Per sincerarsi della veridicità del mio asserto basta del resto comparare i fotogrammi del noto passaggio brasiliano (7-5-1952) con un'istantanea di probabile provenienza messicana risalente ai primi avvistamenti del '47 (e riprodotta sul fascicolo n. 373-374 di “Sapere”).











Una delle tesi particolarmente care ai negatori dei “dischi” era quella che escludeva ogni loro possibilità di volo veloce per l' “enorme” calore sviluppato dall'attrito atmosferico.
Velocità orizzontali di 2400 chilometri orari a quota zero inducono sul corpo volante un sopraelevamento (alla parete) di circa 241°C, valore che scema però notevolmente riducendosi all'incirca alla metà nella traslazione alle normali quote stratosferiche (12-15000 m).
Aerocostruttivamente 150°C o poco più sono un sopraelevamento notevole, ma non “enorme”, di temperatura poiché la tecnica attuale dispone già di adatti materiali ( fiberglas; durestos; ceramiche e resine sintetiche in genere).

RENATO VESCO

www.cisu.org

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