In
questo scritto apparso sul settimanale ALI – anno III - n. 17 del
21 giugno 1953 (prima parte), Vesco esce allo scoperto e tratta
direttamente la sua teoria dei “DISCHI VOLANTI ANGLO-CANADESI”
elencando (senza approfondire troppo) direttamente i vari aspetti
tecnici e costruttivi dei VERI dischi volanti.
Qui
possiamo apprezzare il tipo di costruzione teorica che egli ha dovuto
elaborare, pensando, ragionando su come sistemare l'enorme puzzle
che unisce la casistica UFO del primo periodo al più avanzato
pensiero tecnologico dell'epoca.
Per
un solo individuo è uno sforzo immane, fatto di studio, acquisizione
dati ed elaborazione tecnico-filosofica per immaginare un quadro
complessivo probabile nel quale inserire le proprie deduzioni,
intuizioni ed esperienze.
Renato
Vesco è il solo ricercatore in materia ufologica che è stato capace
di costruire un'ipotesi iper-complessa basata su rigorosi fondamenti
tecnico-scientifici e storici precisi e, per la parte tecnica,
inconfutabili.
Sicuramente
l'idea della paternità anglo-canadese dei DISCHI VOLANTI ha oggi
l'aspetto di una forzatura ma, quando Vesco la formulò nei
primissimi anni '50 basandosi sull'analisi dei vettori d'uscita dalla
scena operativa di un certo numero dei primissimi casi verificatisi
negli Stati Uniti, le possibilità di effettuare un'analisi
realistica erano piuttosto ridotte e comunque nell'immediato
dopoguerra per chi considerava i DISCHI VOLANTI macchine di origine
terrestre non c'era molto da scegliere su chi fosse a lanciarli nei
cieli dell'unica superpotenza esistente in quel momento: gli USA.
Quanto
è scritto in questo articolo pubblicato da ALI in due parti , oltre
che essere un riassunto di quanto il ricercatore genovese esporrà in
modo esaustivo nella sua trilogia che sarà pubblicata molti anni
dopo, è una pietra miliare tecnologica per la ricerca sugli UFO,
ricerca che ancora oggi è colpevolmente deficitaria dal punto di
vista della comprensione tecnica del fenomeno.
RR
I
DISCHI VOLANTI ANGLO- CANADESI
COME
SONO
(1^ parte)
l
nostro collaboratore Renato Vesco, residente a Genova, ha speso molto
tempo e molto studio per ricerche nel campo delle macchine a
“portanza reattiva” - come le chiama – alle quali appartengono
i cosiddetti e tanto discussi, “dischi volanti”.
Quanto
egli scrive – in una forma invero un po' troppo dotta per non
riuscire difficile, se non addirittura un po' oscura ai profani –
abbiamo ritenuto che fosse di troppo grande interesse per tenerlo
ulteriormente in attesa. Lo pubblichiamo nell'intento di dare un
contributo chiarificatore e.... rivelatore dell'intera faccenda,
ormai celeberrima.
L'allestimento
d'intere squadriglie sperimentali di aeromobili supersonici
discoidali (“Dischi volanti”) non è affatto destinato ad un
prossimo futuro, come le autorità interessate vorrebbero far credere
all'opinione pubblica mondiale.
I
primi velati accenni a rivoluzionarie macchine volanti in fase di
segreto approntamento presso i britannici ( Turleigh nel Dufordshire
e successivamente stabilimenti aeronautici dell “Avro-Canada” e
basi decentrate nelle zone desertiche del Canada Occidentale e forse
anche dell'Australia Centrale ) risalgono all'immediato dopoguerra
(1945-1946). Negli anni successivi sono le cronache che parlano di
questi misteriosi velivoli con frequenza quasi quotidiana,
intervallata da periodi ben definiti di intensificati avvistamenti.
Non
rievocherò qui tutte le assurdità che si dissero e si scrissero
sull'argomento (provenienze extraterrestri, meteoriti, macchie
luminose, radiazioni di natura ignota, illusioni ottiche, ecc.)
poiché alcune di esse furono profferite da bocche relativamente
illustri ed è bene perciò che su di esse cada definitivamente un
dignitoso oblio.
L'aeromobile
discoidale canadese descritto da Amos Majani (ALI, anno III, n.12)
per la semiufficialità della “rivelazione” merita invece qualche
riga di commento. Innanzitutto si parte dall'ipotesi che esso sia
il “VERO” disco volante anglo-canadese: è razionale e,
perlomeno, realizzabile una forma del genere?
Indubbiamente
“ali volanti” con pianta circolare sono costruibili e dovrebbero
traslare con eccellente grado di stabilità (grazie alla
stabilizzazione di natura girostatica sviluppata da gigantesco rotore
annegato nello spessore della “fusoliera”) salvo gli inevitabili
ed intuibili inconvenienti dovuti al noto, e qui favorevole, fenomeno
della “precessione giroscopica”.
Il
motore può essere una normale per quanto rarissima turbina
endotermica “radiale centrifuga” con scarico (in pressione)
entro un collettore tronco-anulare alimentanti i tubi propulsivi
periferici.
L'irrazionalità
della costruzione pseudo discoidale canadese (fatta astrazione da
ogni considerazione relativa al possibile “rendimento”di un così
gran numero di tubi propulsivi) non risiede dunque nell'apparato a
reazione ma nella disposizione della cabina di pilotaggio.
Allorchè
l'aeromobile si trasla orizzontalmente ad una determinata “incidenza”
portante, la visibilità anteriore si annulla poiché la prua del
velivolo in assetto cabrato togli al pilota (confinato al centro
della macchina) ogni percezione visiva frontale. Anche la visibilità
inferiore è assolutamente nulla (o scarsamente assicurata da un
eventuale dispositivo periscopico di cui peraltro i relatori non
fanno il minimo cenno). Un aeromobile del genere anziché un'arma
difensiva di eccezionale potenza sarebbe sarebbe una ghiotta e ben
facile preda anche per incursori di caratteristiche nettamente
inferiori.
Una
disposizione così atta non può ingannare un tecnico degno di tale
nome ed è sorprendente il fatto che i Britannici ritengano credibile
un dettaglio tanto ingenuamente negativo quando assai più
razionalmente avrebbero potuto far credere che la cabina è collocata
sulla prua del velivolo con pilota in posizione prona, come auspicato
da tempo per i velivoli supersonici.
Un
gran numero di avvistamenti è caratterizzato dal fatto che l'ordigno
o gli ordigni aerei stazionavano nello spazio “cabrando” poi
(spesso fulmineamente) in linea nettamente verticale a guisa di
potentissimi elicotteri: è dunque dimostrato che essi possono
decollare e d atterrare sulla verticale della base di lancio.
Pertanto risultano assolutamente superflui i piloni di lancio, i
razzi di decollo, lo sperone di atterraggio, il “tappeto elastico”
e tutte le più o meno ingegnose elucubrazioni relative.
Il
“segreto” di tali manovre concerne semmai unicamente il
dispositivo di propulsione che le rende possibili. Su queste noterò
soltanto che ciò che gli articolisti chiamano con termine bizzarro
“Motore-giroscopio” è uno speciale rotore (rotoreattore) che
caratterizza l'intera costruzione conferendole qualità dinamiche
eccezionali ed imponendo l'adozione di materiali vetrosi ( fiberglas
e simili) e porosi genericamente designati col nome di “resine
sintetiche o materiali plastici” La rotoreazione comporta inoltre
un assetto traslatorio della macchina volante “ad incidenza
negativa” : straordinario assetto (solo apparentemente normale)
fotograficamente documentato e dovuto alla necessità di scindere
vettorialmente la “spinta” generata dal complesso
“rotoreattore-ala anulare” in due componenti, una delle quali
“portante”, l'altra “traente”. Noterò inoltre per
incidenza che detta “spinta” può essere fornita per
circuitazione aerodinamica forzata o per “getti reattivi” puri,
a seconda del regime cinetico assunto volta a volta dall'aeromobile.
In
realtà dunque sui “VERI” Dischi Volanti anglo-canadesi la
cabina si trova effettivamente al centro dell'ordigno (sdoppiata in
una cabina emisferica dorsale ed una torretta periscopica parimenti
emisferica ma ventrale). Le macchine volanti hanno però una forma
nettamente circolare (senza tubi di scarico, timoni, prese frontali o
altri elementi visibili) e non già una pianta ellittica o a losanga!
Come
conciliare infatti i cosiddetti “getti falcati radiali” che
talvolta attorniano gli ordigni aerostazionanti nello spazio, con la
miriade di bocche d'efflusso orientate unidirezionalmente ed
esclusivamente laterali e poppiere che caratterizzano lo pseudo-disco
canadese?
Insisto
sull'esatta forma circolare poiché il dettaglio è di primaria
importanza. Per sincerarsi della veridicità del mio asserto basta
del resto comparare i fotogrammi del noto passaggio brasiliano
(7-5-1952) con un'istantanea di probabile provenienza messicana
risalente ai primi avvistamenti del '47 (e riprodotta sul fascicolo
n. 373-374 di “Sapere”).
Una
delle tesi particolarmente care ai negatori dei “dischi” era
quella che escludeva ogni loro possibilità di volo veloce per l'
“enorme” calore sviluppato dall'attrito atmosferico.
Velocità
orizzontali di 2400 chilometri orari a quota zero inducono sul corpo
volante un sopraelevamento (alla parete) di circa 241°C, valore che
scema però notevolmente riducendosi all'incirca alla metà nella
traslazione alle normali quote stratosferiche (12-15000 m).
Aerocostruttivamente
150°C o poco più sono un sopraelevamento notevole, ma non “enorme”,
di temperatura poiché la tecnica attuale dispone già di adatti
materiali ( fiberglas; durestos; ceramiche e resine sintetiche
in genere).
RENATO
VESCO
www.cisu.org
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