Questo
articolo comparve sulla Rivista Aeronautica nel 1957 ed è una bella
analisi dei sistemi di propulsione e dei carburanti che all'epoca
erano considerati futuribili.
La seconda parte è dedicata alle previsioni sull' utilizzo dell'energia atomica come fonte propulsiva per aerei. Vesco aveva già teorizzato che veicoli spaziali anglo-canadesi avessero viaggiato nello spazio prossimo alla Terra sfruttando proprio questo tipo di energia, ma stranamente tra le righe di questo scritto sembra trasparire qualche fondamentale interrogativo sulla reale necessità e possibilità di utilizzazione di un sistema energetico che a d alcuni pregi contrappone parecchi difetti.
La seconda parte è dedicata alle previsioni sull' utilizzo dell'energia atomica come fonte propulsiva per aerei. Vesco aveva già teorizzato che veicoli spaziali anglo-canadesi avessero viaggiato nello spazio prossimo alla Terra sfruttando proprio questo tipo di energia, ma stranamente tra le righe di questo scritto sembra trasparire qualche fondamentale interrogativo sulla reale necessità e possibilità di utilizzazione di un sistema energetico che a d alcuni pregi contrappone parecchi difetti.
Oggi
sappiamo che l'energia atomica prodotta per “fissione” dell'atomo
è una vera iattura e sappiamo anche che fino al momento in cui
qualcuno non troverà il modo di utilizzare l'energia prodotta per
“fusione” sarà bene che l'umanità utilizzi questa forma di energia
con estrema circospezione.
Gli
anni '50 del secolo scorso furono un periodo estremamente propositivo
in tutti settori della scienza e della tecnica, una breve finestra temporale in cui
l'entusiasmo per una scienza che prometteva un futuro molto prossimo
fatto di agi e tranquillità aveva contagiato la società civile, che
per pochi anni fece finta di non vedere quale uso facevano i militari
di quelle innovazioni che erano spacciate come progresso. Ben
presto ci pensarono i problemi creati dai continui eperimenti nucleari in atmosfera con ordigni sempre più apocalitici e le vicende della Guerra Fredda a riportare tutti
con i piedi a terra. E l'illusione finì.
RR
ALCUNE IDEE
SULL'AVVENIRE DELLA PROPULSIONE AEREA
RENATO
VESCO
Nel
quarantennio compreso fra il volo di Kitty Hawk e l'avvento dei
primi aeroplani germanici a turbina il volo meccanico, basatosi
prevalentemente sul glorioso motoelica, ha letteralmente divorato
fiumi di pregiata benzina.
Volatilità,
peso specifico ( e quindi potere calorifico) e potere indetonante
hanno caratterizzato volta a volta nel tempo la benzina “migliore”
in relazione alle prestazioni offerte dal costante progresso
motoristico.
Oggigiorno
l'aerofaga propulsione a reazione – pur avendo soppiantato la
benzina col più denso kerosene – sta richiamando in onore il
”potere calorifico” come indice determinante poiché esso a
parità di peso e di volume trasportati condiziona l'autonomia di
volo. Le macchine volanti a reazione in fatto di autonomia non
possono competere con le loro consorelle propulse dalla più anziana
ma più economica elica e il divario notoriamente s'aggrava col
crescere della velocità di volo specie se questo in endoreazione (o
propulsione a razzo).
Tuttavia,
poiché entro gli snelli, profilatissimi moderni è assai è assai
più facile sistemare un grande peso che non un ingombro o gran
volume , il “potere calorifico” disgiunto da una appropriata
densità non risolverebbe affatto lo spinoso problema. L'idrogeno
infatti, con le sue 28,800 Kcal/kg sarebbe un combustibile davvero
“ideale” se non annoverasse tra i suoi pochi ma grandissimi
attributi negativi anche una densità straordinariamente modesta.
Il
peso specifico del kerosene americano (Pool burning oil) oscilla fra
i 0,8 e i 0,81 Kg/dmc. Combustibili più pesanti ossia più densi
come, ad esempio, il gasolio (p.s. = 0,85) o gli olii diesel (p.s. =
0,87 a 0,91) o il mazout (p.s. = 0,973) non presentano vantaggi
talmente determinanti da consigliarne l'adozione e inoltre, come
inevitabile rovescio della medaglia, per la prevalenza del carbonio
nella loro molecola rendono difficoltoso l'avviamento, difficili le
“riprese” in volo e imperfetta la miscelazione con l'aria,
producendo delle pericolose incrostazioni sulle pareti dei
combustori.
Fra
i carboni fossili polverizzati il litantrace (p.s. = 1,2 a 1,5), con
le sue 11,000 Kcal/kg e le abbondanti ceneri, in linea di massima non
si sottrae alle precedenti valutazioni negative pur consentendo una
riduzione volumetrica del 43% rispetto al kerosene, ovviamente al
prezzo di una notevole complicazione costruttiva e, forse, di un
altrettanto notevole incremento ponderale e volumetrico dell'apparato
di carburazione dell'aria.
Poiché
la questione del combustibile (o del propellente) è basilare per
l'avvenire della propulsione aerea, fatalmente, al massimo nel giro
di qualche lustro, anche il kerosene dovrà cedere definitivamente il
campo a qualche sostanza termogena più attiva o suscettibile di
apportare - a parità di prestazioni – delle semplificazioni
costruttive nei complessi motoristici.
Fra
i propellenti i monopropellenti o monoergoli l'idrazina, con densità
di poco superiore a quella dell'acqua, sviluppa vapori fortemente
idrogenati e quindi assai favorevoli dal punto di vista del “peso
molecolare” e del “getto” ma le temperature in ciclo non
superano sfortunatamente i 600°C.
Sebbene
no sia da escludersi che si possa prima o poi, mettere praticamente a
punto un sistema di post-surriscaldamento sfruttante delle
reazioni fortemente esotermiche in seno al vapore prodotto (qualcosa
d'affine, cioè, alla “post-combustione” degli ordinari
turbogetti) onde accrescere l'effetto propulsivo, più promettente
sembrerebbe - almeno in teoria ed astraendo dala costo e dalle
difficoltà di conservazione e d'impiego – il nitrometano. Che
gode inoltre della proprietà di poter essere diluito e combusto a
volontà, in caso d'emergenza, anche nell'aria atmosferica a guisa di
carburante ordinario, ovviamente a prezzo di un minore “rendimento
termodinamico” globale per l'eccesso di ossigeno e per il molto
azoto partecipanti alla combustione.
Pompabile
con facilità e sicurezza (semprechè il circuito d'alimentazione sia
assolutamente esente da parti direttamente lubrificate o confezionate
con delle sostanze organiche) e discretamente stabile per periodi
d'immaagazinamento di normale durata, il nitrometano però
l'inconveniente di svolgere continuamente dei vapori nitrosi i quali,
in presenza di acqua o umidità atmosferica, intaccano gravemente le
parti metalliche con le quali vengono a contatto. Inoltre la sua
densità, pur essendo superiore a quella dell'idrazina, è ancora
troppo bassa per competere economicamente con gli attuali
combustibili-standard.
Bisognerà
dunque trovare qualcosa di gran lunga assai più “concentrato”
valutando le chilocalorie in funzione del volume e non del peso,
anche se quel “qualcosa” sarà talmente denso da essere
semifluido, pastoso o addirittura solido.
Secondo
gli esperti della “Esso Export Corporation”, i carburanti alla
paraffina potrebbero rispondere egregiamente allo scopo. In un
rapporto compilato (nel 1950) dall'ing. A.R. Ogston si legge
infattiche la paraffina non è solo più sicura all'uso della benzina
e degli altri carburanti oggi impiegati dai motori a reazione, perchè
non è soggetta a perdite per evaporazione nel volo ad alta quota, ma
aumenta anche il numero delle miglia percorse per gallone consumato.
La
solida paraffina, risultante della miscelazione stabile di vari
idrocarburi aciclici (dall'esodecano all'esacontano),
ha un aspetto ceroso, fonde fra gli 42 e gli 80°C e, avendo un peso
specifico oscillante fra i 0,8 e i 0,9 Kg/dmc, risulta leggermente
più densa del liquido kerosene.
A
differenza del nitrometano, la paraffina per il suo esclusivo
contenuto in carbonio ed idrogeno è un combustibile a molecola
integralmente ossidabile. Il vantaggio in tal caso – pur non
essendo rilevante dal punto di vista della densità – esiste e
potrebbe venire ulteriormente accresciuto utilizzando delle paraffine
opportunamente “trattate”.
Speciali
sostanze combustibili, metalliche o metalloidiche, finemente
polverizzate potrebbero infatti essere mantenute stabilmente in
sospensione entro un mezzo liquido o semifluido costituendo una massa
plastificata trafilabile a pressione ovvero liquefattibile con
moderatoapporto esterno preventivo di calore avanti la sua adduzione
agli iniettori delle camere di combustione,.
La
paraffina potrebbe già essere considerata un ottimo supporto o mezzo
disperdente per la conglomerazione, l'omogeneizzazione e la
plastificazione dei combustibili solidi polverizzati.
Paraffine
chimicamente pre-trattate – come ad esempio, le paraffine clorate e
le paraffine nitrate, suscettibili di catalizzare il fenomeno della
combustione – potrebbero inoltre integrare lo scarso potere
ossidante (volumetrico dell'aria stratosferica innalzando le
temperature massime dei cicli motori.
Tuttavia
è, verosimilmente, nel settore dei “combustibili sintetici” che
il reattore aeronautico di domani troverà la sua potenziale sorgente
d'energia. E. Brandimarte (cfr. Gettochimica o chimica della
propulsione a getto – Riv. Aeron. N 12, 1954) si è brevemente
soffermato sui pregi dell'idruro doppio di boro e alluminio. Altri
possibili combustibili sintetici (liquidi) attualmente noti ( seppure
prodotti per il momento su scala puramente sperimentale in
laboratorio) sono l'idruro di boro o borano, l'idruro di silicio o
silano, il diboroidruro o diborano.
Fra
i solidi sono notevoli le miscele alluminio-magnesiche (“polverino”),
il sesquiossido di alluminio, gli ossidi di boro e gli ossidi di
berillio, assai calorifici tutti ma non esenti da pecche di vario
genere fra le quali primeggia la produzione di gas polverulenti
contenenti dei prodotti fortemente erosivi.
I
dati pratici sui combustibili sintetici sono piuttosto scarsi e, perchè studiati esclusivamente per l'impiego sui
razzi, non contemplano l'aria come comburente ma solo l'ossigeno
puro.
La
differenza fra le prestazioni dei due comburenti è fortissima per la
presenza dell'aria e della forte percentuale di azoto inerte (75,15%
in peso). Tuttavia già si possono tentare degli utili confronti.
Considerando
separatamente i componenti elementari dei vari composti elencati
abbiamo che;
- l'alluminio combinandosi con l'ossigeno sviluppa 3705 kcal/kg;
- il calcio (combusto però nel fluoro) ne dà 3700;
- il magnesio sviluppa 3515 kcal/kg in presenza di H2O2 e 3615 nell'ossigeno puro;
- il silicio reagendo con l'ossigeno produce 3150 kcal/kg.
(Si
tenga presente che la miscela benzina-ossigeno liquido non ne darebbe
che 2365 per chilogrammo di materia combusta).Temperature, calorie di
combustione e velocità di efflusso del “getto” ancor più
elevate delle precedenti sarebbero fornite dalla combustione
dell'ossigeno liquido e del berillio (4660 kcal/kg) o del litio (4180
kcal/kg) o del boro (3840 kcal/kg), elementi purtroppo
industrialmente rari o troppo costosi per un vasto impiego
motoristico.
Indubbiamente
per il loro alto peso pecifico ( che va dagli 1,56-1,75-1,80-1,84
kg/dmc del calcio, del magnesio, del silicio e del berillio ai
2,55-2,68 kg/dmc dell'alluminio e del boro) i combustibili solidi
sono oltremodo seducenti anche dal punto di vista del problema della
“concentrazione della potenza).
Sfortunatamente
si conviene da tutti che la gassificazione integrale dei metalli e
dei metalloidi nel corso di una combustione molto rapida non sia
assolutamente possibile. Miscelando gli elementi polverizzati con
dei composti volatili e infiammabili l cose migliorano alquanto.
Gli
esperti americani del N.A.C.A. Nel periodo 1948/1950 hanno condotto
una impegnativa serie di esperienze sulla combustione dell'alluminio
puro trafilato (filo d'alluminio) e sulle miscele fluide
nafta-alluminio polverizzato. Anticipazioni teoriche prevedono anche
dei supporti paraffinici ma lo scrivente è invece di tutt'altro
avviso.
Fra
tutti gli elementi considerati il calcio è il solo combustibile
potenziale nel quale ad una intensa attitudine calorigena si
accompagni l'importantissima proprietà di generare dei fumi esenti
da prodotti abrasivi. Tuttavia esso s'accende e brucia nell'aria
solo se viene preventivamente portato ad una elevatissima temperatura
d'ignizione, compito questo che potrebbe essere agevolmente assolto
da altre polveri metalliche, addizionate al combustibile principale,
le quali permetterbbero inoltre di operare anche con i ridotti
“rapporti di compressione” assoluti del volo in alta quota.
In
quantità minore il silicio potrebbe integrare l'azione termogena del
calcio mentre il magnesio e l'alluminio, presenti anch'essi in
quantità minori, attiverebbero la combustione sino al gradiente
voluto per la reazione fortemente esotermica del Si (1500°C) e del
Ca (3000°C). In particolare la presenza del magnesio – con la
produzione di magnesia usta, talco e composti similari –
contraterebbe e neutralizzerebbe la formazione e l'azione erosiva
dell'ossido di alluminio e del carburo di silicio.
Relativamente
al supporto organico lo scrivente pensa che gli esperti trascurino, a
torto, i prodotti cellulosici e, particolarmente i “colloidi”.
I
colloidi sono, notoriamente, dei prodotti nitrocellulosici,
infiammabilissimi, molto volatili, liquidi ma molto densi,
vischiosima facilmente fluidificabili se miscelati con liquidi
etero-alcoolici. Di basso costo, di facile confezione,
disponibili su vasta scala perchè già utilizzati in numerosi
processi industriali (fabbricazione del celluloide, della pirossilina
e di vari esplosivi, del raion, di alcuni diffusi tipi di vernice
ecc.) essi, nell'incessante incedere della tecnica motoristica e
della gettochimica , finiranno molto probabilmente per avere una
parte determinante nell'approntamento di nuovi combustibili sintetici
pouchè pur conservando all'incirca il potere calorifico della
paraffina, risultano immuni dagli inconvenienti propri ai supporti
cerosi, gommosi e paraoleosi.
Sarebbe
eufemistico il voler fissare dei limiti cronologici per l'avvento e
la sostituzione dei vari tipi di carburante sin qui considerati
poiché la presente indagine prescinde necessariamente (o meglio,
forzatamente) da quanto può essere già stato elaborato o si va
elaborando nel discretissimo “top secret” dei grandi laboratori
aeronautici militari stranieri. A parte inoltre ogni cponsiderazione
circa la coesistenza di due o più combustibili operanti in campi e
per scopi diversi, tuttavia è giocoforza l'ammettere sin d'ora la
caducità dell'eventuale predominio d'ogni singolo composto specie a
cagione del fatto che molto impropriamente si parla oggi di
combustioni aeromotoristiche mentre Prescindendo dalle ancora sin
troppo nebulose ed ipotetiche forme d'energia elettrodinamica) più
esatto sarebbe il dire che la propulsione aerea, con o senza
captazione atmosferica, si avvale di una massa propulsiva
opportunamente riscaldata ossia di una forma di energia
genericamente termoergolica,
Conosciamo
infatti tre diversi metodi per riscaldare un fluido attivo e cioè:
1°
bruciando in esso un adatto combustibile (ciclo endotermico
“aperto”);
2°
riscaldandolo mediante una combustione separata (ciclo esotermico
generalmente “chiuso”);
3°
riscaldandolo mediante una sorgente di calore interna ma non
influenzante la composizione chimica del fluido attivo.
Il
primo caso è quello sin qui universalmente adottato in aviazione.
Il secondo sistema è ancora in auge in molti impianti fissi nella
trazione ferroviaria non elettrificata e nella propulsione marittima
a turbina. Il terzo caso può essere praticamente materializzato da
una resistenza elettrica o da una massa radioattiva isolate
ed immerse in seno al fluido attivo che può indifferentemente
operare in base a cicli aperti o chiusi.
Aeronauticamente
o, meglio, astronauticamente il procedimento della propulsione sd
energia atomica”sembra” essere ancora in fase di pura
elaborazione teorico-sperimentale. Tuttavia – astraendo dai
contributi ( incerti perchè volutamente ammantati di mistero o
ricalcanti schemi notissimi da considerarsi, quindi, superati) della
scienza americana e sovietica – si sa di positivo che sin dal 1949
degli esperti britannici di chiara fama hanno suddiviso il campo
d'indagine in sei differenti gruppi così designati (cfr. L.R.
Shepherd e A.V. Cleaver – The Atomic Rocket - “Journal of the
British Interplanetaru Society” - london 1949):
1°
motori a disintegrazione mediante particelle accelerate
artificialmente;
2°
motori a disintegrazione mediante neutroni sottratti da una “pila”
atomica;
3°
motori a “fissione” uranica ottenuta con neutroni lenti;
4°
motori a “fissione” uranica ottenuta con neutroni rapidi;
5°
motori a “fusione” termonucleare al trizio (energia “H”);
6°
motori a disintegrazione di radioelementi (“propulsione
radioergolica”).
Alcuni
di tali gruppi – e segnatamente il 5° - si riferiscono a delle
possibilità di realizzazione da collocare in un lontanissimo futuro.
Il 6° gruppo comprende invece una serie di congegni che rientrano
già nelle possibilità tecniche odierne.
Gli
stessi autori sottolineano il fatto che lo schema più promettente
sembra quello del razzo nucleotermico a radioergolo, ossia quel tipo
di propulsore in cui dei radioelementi artificiali a corto o a
medio “periodo” riscaldano un fluido propulsivo ejettato a grande
velocità.
Un
propulsore a radioergolo deltipo ad endoreazione (razzo) consta
essenzialmente di una camera tubolare di riscaldo (“fornace
nucleoergolica”) le cui pareti, in metallo resistente alle elevate
temperature (ed eventualmente per “sweat cooling” ossia per
trasudamento poroso), vengono rivestite internamente con un sottile
strato di radioelemento.
L'agente
propulsivo (acqua, elio, idrogeno, vapori di mercurio, ecc.) - dopo
avere percorso l'intercapedine refrigerante – viene iniettato a
monte della “fornace” ove – per l'azione del calore sviluppato
dalla disintegrazione lenta della sostanza radioattiva – vaporizza
se è liquido) e si surriscalda enormemente ancor prima di
raggiungere l'ugello di scarico (“effusore”) parimenti rivestito
di radioelemento.
L'espansione
del vapore o del gas – grazie a quest'ultima introduzione di calore
– avviene con un aòto rendimento tanto da legittimare l'ipotesi
che con temperature del propulsivo aggirantisi sui 4500°K le
velocità di efflusso (nel vuoto) possono raggiungere i 4000-4500
metri/sec.
Ovviamente
si possono ideare ed applicare schemi più semplici o più complessi
in relazione al tipo di radioelemento impiegato ed alla sua
ubicazione nella “fornace”, raggruppandolo, ad esempio in una
massa compatta, frazionandolo in barre, tubi, lamine multiple,
incapsulandolo in spugne metalliche, sciogliendolo in un adatto
solvente, ecc.
“...Il
grande vantaggio presentato dal sistema radioergolico consiste nel
fatto che non è necessario sistemare a bordo del veicolo un
pesantissimo “reattore nucleare”... il radioergolo non è che un
sottoprodotto delle “pile atomiche” le quali, d'altra parte, pur
assolvendo la loro funzione di fornire dell'energia industriale,
potrebbero provvedere nel caso del “Bario 139” a caricare ogni 5
ore un nuovo congegno....” (Shepherd e Cleaver, op. cit.)
Le
qualità positive e negative della soluzione radioergolica si
possono sintetizzare:
1°
disponibilità di potenze specifiche considerevoli, ossia non
meno di 125 kw/grammo per il “fluoro 20” il cui “periodo” ( o
tempoi in cui l'irradiazione dell'elemento si riduce del 50%è di 72
secondi; 130 kw/grammo per il “Bario 139” con p. = 1 h.30'; 1,5
kw/grammo per il “Fosforo 32” avente un p. = 14 giorni;
2°
eliminazione pressochè totale
della protezione antiradiazioni nocive per alcuni radioelementi le
cui emanazioni di “raggi gamma” sono nulle o trascurabili;
3°
impossibilità di controllo della potenza sviluppata che
diminuisce in relazione al tempo. Il che non vieta però di
inserire nel circuito del propulsivo una camera di
“post-combustione” o di “post-surriscaldamento” entro la
quale iniettare delle materie combustibili pirogene o comunque
termogene che accrescano l'effetto termocinetico del getto
“compensando” - con regolazione comandata – il progressivo
decadimento energetico del radioelemento. Si tratterebbe cioè di
fondere il razzo radioergolico al razzo a combustibile molecolare
pur beneficiando della possibilità di escludere , a comando, l'uno o
l'altro dei dispositivi. Naturalmente l'uso di radioelementi a nulla
o trascurabile radiazione “gamma” potrebbe estendere il seducente
concetto anche ai propulsori a captazione atmosferica più o meno
integrale;
4°
impossibilità di evacuare l'energia liberata durante le pause di
funzionamento del propulsore. Difficoltà che potrebbe essere
senz'altro aggirata – volendo effettuare il volo librato ovvero
stazionare al suolo senza danneggiare l'aeromobile o fondere
l'apparato propulsivo – mediante la continua ejezione di
propulsivo (non necessariamente liquido e tratto dalla riserva di
bordo) il quale agirebbe in tal caso esclusivamente da refrigerante.
Basterebbe
infatti ejettare dell'aria atmosferica in direzione opposta a quella
dell'ordinario “getto” motopropulsivo (mantenuto a mezza
potenza)per originare una “spinta” antagonista neutralizzante la
precedente , unicamente a spese dell'energia del radioelemento
comunque disperdentesi senza possibilità di lavoro attivo.
Altra
possibilità concettuale, consisterebbe, nella deviazione (bipartita
e simmetrica) del “getto” propulsivo in direzione ortogonale. I
gas potrebbero inoltre agire su dei turbomotori di recupero parziale
producenti dell'energia elettrica per i vari usi di bordo.
Comunque
anche in questo speciale settore la modernissima tecnica della
deviazione meccanica del “getto” e dell'inversione della
“spinta” potrà forse dire una parola decisiva.
Gli
schemi per lo sfruttamento aeronautico dell'energia nucleare che
vanno oggi per la maggiore contemplano l'adozione di una
“pila uranica” protetta da schermi pesantissimi e refrigerata
da un fluido radioattivamente inerte il quale muove delle turbine in
ciclo chiuso azionanti delle eliche aeree ovvero attraverso ad un
vasto scambiatore di calore innalza la temperatura dell'aria
aspirata, compressa ed ejettata secondo il ben noto sistema
turboreattivo.
Per
il momento solo il sottomarino americano “Nautilus” si avvale, a
titolo sperimentale, di un motore del genere. Esso nell'autunno del
1955 ha compiuto una crociera fra New London (Connecticut, U.S.A.) e
San Juan de Portorico navigando per tutte le 1500 miglia in
immersione (84 ore consecutive ad una velocità media di 18,4 nodi).
Il prototipo dei suoi motori prima di essere installato a bordo era
stato mantenuto in moto quasi ininterrottamente per 2 anni e mezzo
senza richiedere alcun ulteriore rifornimento dopo la carica iniziale
d'uranio:
Tutto
ciò può essere giustamente considerato un vanto per l'ingegneria
navale. Tuttavia le esigenze del volo sono molteplici e versatili le
sue possibilità. Vediamone in breve qualcuna direttamente
riferibile ai problemi in discussione.
Nessun
pilota d'aeroplano si sognerebbe mai di caricare sul suo velivolo –
tecnica, per assurdo, permettendolo – un quantitativo di benzina
tale da consentirgli un'autonomia venti o trenta volte
circumterrestre. Il ventilato allestimento di aeroplani ad energia
atomica capaci di tenersi in volo per dei mesi o degli anni
rappresenta dunque una incontrovertibile possibilità pratica ma
anche un nonsenso operativo ed economico perchè, coperto in
linea retta, tanto per esemplificare, un meridiano, l'aeromobile
perverrebbe esattamente sulla verticale della base di partenza e,
qualora si trattasse di un bombardiere , se avesse “sganciato”
lungo l'immensa rotta, egli dovrebbe egualmente atterrare per
l'imbarco del nuovo carico offensivo di caduta. Solo le operazioni
marginali – come la ricognizione aerea strategica continuativa
(“satelliti artificiali a parte) e la sorveglianza costiera -
potrebbero avvantaggiarsi utilmente della nuova formula.
Notare
inoltre che la convenzione termica (refuso, in realtà si tratta di
CONVEZIONE termica – RR) mantenuta dalla lenta
disintegrazione dell'uranio non consente praticamente la propulsione
a getto a causa delle limitazioni imposte dalle dimensioni, dal peso
e dal rendimento interno dello scambiatore di calore. In ogni caso
l'adattamento reattivo (“propulsione nucleoergolica”) anche se
possibile più in la nel tempo in una fase di sviluppo tecnico più
avanzata, non potrà verosimilmente concedere velocità marcatamente
supersoniche per l'e ccessivo sviluppo trasversale oppure in
lunghezza imposto dal reattore e quindi al velivolo che lo rinserra.
Modelli di velivoli propulsi da motrici a vapore volarono
effettivamente verso la fine del secolo scorso. Tuttavia
l'affermazione del volo meccanico si ebbe solo con la messa a punto
dei primo motori endotermici e ciò era implicito nella natura stessa
del nuovo mezzo di trasporto che richiedeva dei propulsori
estremamente leggeri e compatti.
Il
problema della “concentrazione della potenza” non potrà non
riproporsi nuovamente anche nel campo della propulsione atomica
riferendosi non già al “combustibile”, che ha una resa
d'energia pressochè illimitata, ma alle apparecchiature che debbono
estrinsecarla ed utilizzarla propulsivamente le quali, per
risultare realmente efficienti, non dovranno superare certi limiti
ponderali e volumetrici oltyre i quali la proposta formula “
idrovolante plurimotore” rappresenterà un vicolo cieco e il volo a
propulsione nucleare non potrà evolvere verso forme e
tonnellaggi d'uso realmente universale.
Nella
“propulsione radioergolica” possiamo intravvedere un primo,
razionale correttivo a tale stato di cose: al “pieno di
carburante” per coprire un determinato percorso potremo
sostituire la quantità di “radioergolo” ad equivalente resa
globale di energia termica. All'autonomia oraia concessa datale
“pieno”, il “periodo”Q di radiazione ad equivalente durata
autonomistica (definita in funzione della velocità dell'aeromobile
lungo la traiettoria). Al “potere calorifico” in kcal/kg, il
“potere radiante” in curie/grammo.
Nell'era
del volo radioergolico gli aerodromi o,in senso più lato, i punti di
partenza e di arrivo dovranno naturalmente sorgere in prossimità di
centrali atomiche dalle quali prelevare il tipo di radioelemento
artificiale adatto alla lunghezza del percorso da coprire il che,
probabilmente e per molto tempo, non sarà né rapido né comodo.
Problemi
di caricamento del radioergolo, di manutenzione, di controllo, di
prevenzione infortunistica (in volo e al suolo): la “propulsione
radioergolica” è una rosa in boccio che cela inviluppate nel suo
tenero stelo diverse acute spine ma è anche un promettentissimo
sistema energetico oltre che un campo d'indagine ancora pressochè
vergine e quindi suscettibile di nostri utili contributi teorici.
www.cisu.org
www.cisu.org