martedì 2 ottobre 2012

Questo articolo comparve sulla Rivista Aeronautica nel 1957 ed è una bella analisi dei sistemi di propulsione e dei carburanti che all'epoca erano considerati futuribili.
 La seconda parte è dedicata alle previsioni sull' utilizzo dell'energia atomica come fonte propulsiva per aerei. Vesco aveva già teorizzato che veicoli spaziali anglo-canadesi avessero viaggiato nello spazio prossimo alla Terra sfruttando proprio questo tipo di energia, ma stranamente tra le righe di questo scritto sembra trasparire qualche fondamentale interrogativo sulla reale necessità e possibilità di utilizzazione di un sistema energetico che a d alcuni pregi contrappone parecchi difetti.
Oggi sappiamo che l'energia atomica prodotta per “fissione” dell'atomo è una vera iattura e sappiamo anche che fino al momento in cui qualcuno non troverà il modo di utilizzare l'energia prodotta per “fusione” sarà bene che l'umanità utilizzi questa forma di energia con estrema circospezione.
Gli anni '50 del secolo scorso furono un periodo estremamente propositivo in tutti settori della scienza e della tecnica, una breve finestra temporale in cui l'entusiasmo per una scienza che prometteva un futuro molto prossimo fatto di agi e tranquillità aveva contagiato la società civile, che per pochi anni fece finta di non vedere quale uso facevano i militari di quelle innovazioni che erano spacciate come progresso.  Ben presto ci pensarono i problemi creati dai continui eperimenti nucleari in atmosfera con ordigni sempre più apocalitici e le vicende della Guerra Fredda a riportare tutti con i piedi a terra. E l'illusione finì.

RR


    ALCUNE IDEE SULL'AVVENIRE DELLA PROPULSIONE AEREA

                                                        RENATO VESCO

Nel quarantennio compreso fra il volo di Kitty Hawk e l'avvento dei primi aeroplani germanici a turbina il volo meccanico, basatosi prevalentemente sul glorioso motoelica, ha letteralmente divorato fiumi di pregiata benzina.
Volatilità, peso specifico ( e quindi potere calorifico) e potere indetonante hanno caratterizzato volta a volta nel tempo la benzina “migliore” in relazione alle prestazioni offerte dal costante progresso motoristico.
Oggigiorno l'aerofaga propulsione a reazione – pur avendo soppiantato la benzina col più denso kerosene – sta richiamando in onore il ”potere calorifico” come indice determinante poiché esso a parità di peso e di volume trasportati condiziona l'autonomia di volo. Le macchine volanti a reazione in fatto di autonomia non possono competere con le loro consorelle propulse dalla più anziana ma più economica elica e il divario notoriamente s'aggrava col crescere della velocità di volo specie se questo in endoreazione (o propulsione a razzo).
Tuttavia, poiché entro gli snelli, profilatissimi moderni è assai è assai più facile sistemare un grande peso che non un ingombro o gran volume , il “potere calorifico” disgiunto da una appropriata densità non risolverebbe affatto lo spinoso problema. L'idrogeno infatti, con le sue 28,800 Kcal/kg sarebbe un combustibile davvero “ideale” se non annoverasse tra i suoi pochi ma grandissimi attributi negativi anche una densità straordinariamente modesta.
Il peso specifico del kerosene americano (Pool burning oil) oscilla fra i 0,8 e i 0,81 Kg/dmc. Combustibili più pesanti ossia più densi come, ad esempio, il gasolio (p.s. = 0,85) o gli olii diesel (p.s. = 0,87 a 0,91) o il mazout (p.s. = 0,973) non presentano vantaggi talmente determinanti da consigliarne l'adozione e inoltre, come inevitabile rovescio della medaglia, per la prevalenza del carbonio nella loro molecola rendono difficoltoso l'avviamento, difficili le “riprese” in volo e imperfetta la miscelazione con l'aria, producendo delle pericolose incrostazioni sulle pareti dei combustori.
Fra i carboni fossili polverizzati il litantrace (p.s. = 1,2 a 1,5), con le sue 11,000 Kcal/kg e le abbondanti ceneri, in linea di massima non si sottrae alle precedenti valutazioni negative pur consentendo una riduzione volumetrica del 43% rispetto al kerosene, ovviamente al prezzo di una notevole complicazione costruttiva e, forse, di un altrettanto notevole incremento ponderale e volumetrico dell'apparato di carburazione dell'aria.
Poiché la questione del combustibile (o del propellente) è basilare per l'avvenire della propulsione aerea, fatalmente, al massimo nel giro di qualche lustro, anche il kerosene dovrà cedere definitivamente il campo a qualche sostanza termogena più attiva o suscettibile di apportare - a parità di prestazioni – delle semplificazioni costruttive nei complessi motoristici.
Fra i propellenti i monopropellenti o monoergoli l'idrazina, con densità di poco superiore a quella dell'acqua, sviluppa vapori fortemente idrogenati e quindi assai favorevoli dal punto di vista del “peso molecolare” e del “getto” ma le temperature in ciclo non superano sfortunatamente i 600°C.
Sebbene no sia da escludersi che si possa prima o poi, mettere praticamente a punto un sistema di post-surriscaldamento sfruttante delle reazioni fortemente esotermiche in seno al vapore prodotto (qualcosa d'affine, cioè, alla “post-combustione” degli ordinari turbogetti) onde accrescere l'effetto propulsivo, più promettente sembrerebbe - almeno in teoria ed astraendo dala costo e dalle difficoltà di conservazione e d'impiego – il nitrometano. Che gode inoltre della proprietà di poter essere diluito e combusto a volontà, in caso d'emergenza, anche nell'aria atmosferica a guisa di carburante ordinario, ovviamente a prezzo di un minore “rendimento termodinamico” globale per l'eccesso di ossigeno e per il molto azoto partecipanti alla combustione.
Pompabile con facilità e sicurezza (semprechè il circuito d'alimentazione sia assolutamente esente da parti direttamente lubrificate o confezionate con delle sostanze organiche) e discretamente stabile per periodi d'immaagazinamento di normale durata, il nitrometano però l'inconveniente di svolgere continuamente dei vapori nitrosi i quali, in presenza di acqua o umidità atmosferica, intaccano gravemente le parti metalliche con le quali vengono a contatto. Inoltre la sua densità, pur essendo superiore a quella dell'idrazina, è ancora troppo bassa per competere economicamente con gli attuali combustibili-standard.
Bisognerà dunque trovare qualcosa di gran lunga assai più “concentrato” valutando le chilocalorie in funzione del volume e non del peso, anche se quel “qualcosa” sarà talmente denso da essere semifluido, pastoso o addirittura solido.
Secondo gli esperti della “Esso Export Corporation”, i carburanti alla paraffina potrebbero rispondere egregiamente allo scopo. In un rapporto compilato (nel 1950) dall'ing. A.R. Ogston si legge infattiche la paraffina non è solo più sicura all'uso della benzina e degli altri carburanti oggi impiegati dai motori a reazione, perchè non è soggetta a perdite per evaporazione nel volo ad alta quota, ma aumenta anche il numero delle miglia percorse per gallone consumato.
La solida paraffina, risultante della miscelazione stabile di vari idrocarburi aciclici (dall'esodecano all'esacontano), ha un aspetto ceroso, fonde fra gli 42 e gli 80°C e, avendo un peso specifico oscillante fra i 0,8 e i 0,9 Kg/dmc, risulta leggermente più densa del liquido kerosene.
A differenza del nitrometano, la paraffina per il suo esclusivo contenuto in carbonio ed idrogeno è un combustibile a molecola integralmente ossidabile. Il vantaggio in tal caso – pur non essendo rilevante dal punto di vista della densità – esiste e potrebbe venire ulteriormente accresciuto utilizzando delle paraffine opportunamente “trattate”.
Speciali sostanze combustibili, metalliche o metalloidiche, finemente polverizzate potrebbero infatti essere mantenute stabilmente in sospensione entro un mezzo liquido o semifluido costituendo una massa plastificata trafilabile a pressione ovvero liquefattibile con moderatoapporto esterno preventivo di calore avanti la sua adduzione agli iniettori delle camere di combustione,.
La paraffina potrebbe già essere considerata un ottimo supporto o mezzo disperdente per la conglomerazione, l'omogeneizzazione e la plastificazione dei combustibili solidi polverizzati.
Paraffine chimicamente pre-trattate – come ad esempio, le paraffine clorate e le paraffine nitrate, suscettibili di catalizzare il fenomeno della combustione – potrebbero inoltre integrare lo scarso potere ossidante (volumetrico dell'aria stratosferica innalzando le temperature massime dei cicli motori.
Tuttavia è, verosimilmente, nel settore dei “combustibili sintetici” che il reattore aeronautico di domani troverà la sua potenziale sorgente d'energia. E. Brandimarte (cfr. Gettochimica o chimica della propulsione a getto – Riv. Aeron. N 12, 1954) si è brevemente soffermato sui pregi dell'idruro doppio di boro e alluminio. Altri possibili combustibili sintetici (liquidi) attualmente noti ( seppure prodotti per il momento su scala puramente sperimentale in laboratorio) sono l'idruro di boro o borano, l'idruro di silicio o silano, il diboroidruro o diborano.
Fra i solidi sono notevoli le miscele alluminio-magnesiche (“polverino”), il sesquiossido di alluminio, gli ossidi di boro e gli ossidi di berillio, assai calorifici tutti ma non esenti da pecche di vario genere fra le quali primeggia la produzione di gas polverulenti contenenti dei prodotti fortemente erosivi.
I dati pratici sui combustibili sintetici sono piuttosto scarsi e,  perchè studiati esclusivamente per l'impiego sui razzi, non contemplano l'aria come comburente ma solo l'ossigeno puro.
La differenza fra le prestazioni dei due comburenti è fortissima per la presenza dell'aria e della forte percentuale di azoto inerte (75,15% in peso). Tuttavia già si possono tentare degli utili confronti.
Considerando separatamente i componenti elementari dei vari composti elencati abbiamo che;
  • l'alluminio combinandosi con l'ossigeno sviluppa 3705 kcal/kg;
  • il calcio (combusto però nel fluoro) ne dà 3700;
  • il magnesio sviluppa 3515 kcal/kg in presenza di H2O2 e 3615 nell'ossigeno puro;
  • il silicio reagendo con l'ossigeno produce 3150 kcal/kg.
(Si tenga presente che la miscela benzina-ossigeno liquido non ne darebbe che 2365 per chilogrammo di materia combusta).Temperature, calorie di combustione e velocità di efflusso del “getto” ancor più elevate delle precedenti sarebbero fornite dalla combustione dell'ossigeno liquido e del berillio (4660 kcal/kg) o del litio (4180 kcal/kg) o del boro (3840 kcal/kg), elementi purtroppo industrialmente rari o troppo costosi per un vasto impiego motoristico.
Indubbiamente per il loro alto peso pecifico ( che va dagli 1,56-1,75-1,80-1,84 kg/dmc del calcio, del magnesio, del silicio e del berillio ai 2,55-2,68 kg/dmc dell'alluminio e del boro) i combustibili solidi sono oltremodo seducenti anche dal punto di vista del problema della “concentrazione della potenza).
Sfortunatamente si conviene da tutti che la gassificazione integrale dei metalli e dei metalloidi nel corso di una combustione molto rapida non sia assolutamente possibile. Miscelando gli elementi polverizzati con dei composti volatili e infiammabili l cose migliorano alquanto.
Gli esperti americani del N.A.C.A. Nel periodo 1948/1950 hanno condotto una impegnativa serie di esperienze sulla combustione dell'alluminio puro trafilato (filo d'alluminio) e sulle miscele fluide nafta-alluminio polverizzato. Anticipazioni teoriche prevedono anche dei supporti paraffinici ma lo scrivente è invece di tutt'altro avviso.
Fra tutti gli elementi considerati il calcio è il solo combustibile potenziale nel quale ad una intensa attitudine calorigena si accompagni l'importantissima proprietà di generare dei fumi esenti da prodotti abrasivi. Tuttavia esso s'accende e brucia nell'aria solo se viene preventivamente portato ad una elevatissima temperatura d'ignizione, compito questo che potrebbe essere agevolmente assolto da altre polveri metalliche, addizionate al combustibile principale, le quali permetterbbero inoltre di operare anche con i ridotti “rapporti di compressione” assoluti del volo in alta quota.
In quantità minore il silicio potrebbe integrare l'azione termogena del calcio mentre il magnesio e l'alluminio, presenti anch'essi in quantità minori, attiverebbero la combustione sino al gradiente voluto per la reazione fortemente esotermica del Si (1500°C) e del Ca (3000°C). In particolare la presenza del magnesio – con la produzione di magnesia usta, talco e composti similari – contraterebbe e neutralizzerebbe la formazione e l'azione erosiva dell'ossido di alluminio e del carburo di silicio.
Relativamente al supporto organico lo scrivente pensa che gli esperti trascurino, a torto, i prodotti cellulosici e, particolarmente i “colloidi”.
I colloidi sono, notoriamente, dei prodotti nitrocellulosici, infiammabilissimi, molto volatili, liquidi ma molto densi, vischiosima facilmente fluidificabili se miscelati con liquidi etero-alcoolici. Di basso costo, di facile confezione, disponibili su vasta scala perchè già utilizzati in numerosi processi industriali (fabbricazione del celluloide, della pirossilina e di vari esplosivi, del raion, di alcuni diffusi tipi di vernice ecc.) essi, nell'incessante incedere della tecnica motoristica e della gettochimica , finiranno molto probabilmente per avere una parte determinante nell'approntamento di nuovi combustibili sintetici pouchè pur conservando all'incirca il potere calorifico della paraffina, risultano immuni dagli inconvenienti propri ai supporti cerosi, gommosi e paraoleosi.
Sarebbe eufemistico il voler fissare dei limiti cronologici per l'avvento e la sostituzione dei vari tipi di carburante sin qui considerati poiché la presente indagine prescinde necessariamente (o meglio, forzatamente) da quanto può essere già stato elaborato o si va elaborando nel discretissimo “top secret” dei grandi laboratori aeronautici militari stranieri. A parte inoltre ogni cponsiderazione circa la coesistenza di due o più combustibili operanti in campi e per scopi diversi, tuttavia è giocoforza l'ammettere sin d'ora la caducità dell'eventuale predominio d'ogni singolo composto specie a cagione del fatto che molto impropriamente si parla oggi di combustioni aeromotoristiche mentre Prescindendo dalle ancora sin troppo nebulose ed ipotetiche forme d'energia elettrodinamica) più esatto sarebbe il dire che la propulsione aerea, con o senza captazione atmosferica, si avvale di una massa propulsiva opportunamente riscaldata ossia di una forma di energia genericamente termoergolica,
Conosciamo infatti tre diversi metodi per riscaldare un fluido attivo e cioè:

1° bruciando in esso un adatto combustibile (ciclo endotermico “aperto”);
2° riscaldandolo mediante una combustione separata (ciclo esotermico generalmente “chiuso”);
riscaldandolo mediante una sorgente di calore interna ma non influenzante la composizione chimica del fluido attivo.
Il primo caso è quello sin qui universalmente adottato in aviazione. Il secondo sistema è ancora in auge in molti impianti fissi nella trazione ferroviaria non elettrificata e nella propulsione marittima a turbina. Il terzo caso può essere praticamente materializzato da una resistenza elettrica o da una massa radioattiva isolate ed immerse in seno al fluido attivo che può indifferentemente operare in base a cicli aperti o chiusi.
Aeronauticamente o, meglio, astronauticamente il procedimento della propulsione sd energia atomica”sembra” essere ancora in fase di pura elaborazione teorico-sperimentale. Tuttavia – astraendo dai contributi ( incerti perchè volutamente ammantati di mistero o ricalcanti schemi notissimi da considerarsi, quindi, superati) della scienza americana e sovietica – si sa di positivo che sin dal 1949 degli esperti britannici di chiara fama hanno suddiviso il campo d'indagine in sei differenti gruppi così designati (cfr. L.R. Shepherd e A.V. Cleaver – The Atomic Rocket - “Journal of the British Interplanetaru Society” - london 1949):

1° motori a disintegrazione mediante particelle accelerate artificialmente;
2° motori a disintegrazione mediante neutroni sottratti da una “pila” atomica;
3° motori a “fissione” uranica ottenuta con neutroni lenti;
4° motori a “fissione” uranica ottenuta con neutroni rapidi;
5° motori a “fusione” termonucleare al trizio (energia “H”);
motori a disintegrazione di radioelementi (“propulsione radioergolica”).
Alcuni di tali gruppi – e segnatamente il 5° - si riferiscono a delle possibilità di realizzazione da collocare in un lontanissimo futuro. Il 6° gruppo comprende invece una serie di congegni che rientrano già nelle possibilità tecniche odierne.
Gli stessi autori sottolineano il fatto che lo schema più promettente sembra quello del razzo nucleotermico a radioergolo, ossia quel tipo di propulsore in cui dei radioelementi artificiali a corto o a medio “periodo” riscaldano un fluido propulsivo ejettato a grande velocità.
Un propulsore a radioergolo deltipo ad endoreazione (razzo) consta essenzialmente di una camera tubolare di riscaldo (“fornace nucleoergolica”) le cui pareti, in metallo resistente alle elevate temperature (ed eventualmente per “sweat cooling” ossia per trasudamento poroso), vengono rivestite internamente con un sottile strato di radioelemento.
L'agente propulsivo (acqua, elio, idrogeno, vapori di mercurio, ecc.) - dopo avere percorso l'intercapedine refrigerante – viene iniettato a monte della “fornace” ove – per l'azione del calore sviluppato dalla disintegrazione lenta della sostanza radioattiva – vaporizza se è liquido) e si surriscalda enormemente ancor prima di raggiungere l'ugello di scarico (“effusore”) parimenti rivestito di radioelemento.
L'espansione del vapore o del gas – grazie a quest'ultima introduzione di calore – avviene con un aòto rendimento tanto da legittimare l'ipotesi che con temperature del propulsivo aggirantisi sui 4500°K le velocità di efflusso (nel vuoto) possono raggiungere i 4000-4500 metri/sec.
Ovviamente si possono ideare ed applicare schemi più semplici o più complessi in relazione al tipo di radioelemento impiegato ed alla sua ubicazione nella “fornace”, raggruppandolo, ad esempio in una massa compatta, frazionandolo in barre, tubi, lamine multiple, incapsulandolo in spugne metalliche, sciogliendolo in un adatto solvente, ecc.
“...Il grande vantaggio presentato dal sistema radioergolico consiste nel fatto che non è necessario sistemare a bordo del veicolo un pesantissimo “reattore nucleare”... il radioergolo non è che un sottoprodotto delle “pile atomiche” le quali, d'altra parte, pur assolvendo la loro funzione di fornire dell'energia industriale, potrebbero provvedere nel caso del “Bario 139” a caricare ogni 5 ore un nuovo congegno....” (Shepherd e Cleaver, op. cit.)
Le qualità positive e negative della soluzione radioergolica si possono sintetizzare:



disponibilità di potenze specifiche considerevoli, ossia non meno di 125 kw/grammo per il “fluoro 20” il cui “periodo” ( o tempoi in cui l'irradiazione dell'elemento si riduce del 50%è di 72 secondi; 130 kw/grammo per il “Bario 139” con p. = 1 h.30'; 1,5 kw/grammo per il “Fosforo 32” avente un p. = 14 giorni;
eliminazione pressochè totale della protezione antiradiazioni nocive per alcuni radioelementi le cui emanazioni di “raggi gamma” sono nulle o trascurabili;



impossibilità di controllo della potenza sviluppata che diminuisce in relazione al tempo. Il che non vieta però di inserire nel circuito del propulsivo una camera di “post-combustione” o di “post-surriscaldamento” entro la quale iniettare delle materie combustibili pirogene o comunque termogene che accrescano l'effetto termocinetico del getto “compensando” - con regolazione comandata – il progressivo decadimento energetico del radioelemento. Si tratterebbe cioè di fondere il razzo radioergolico al razzo a combustibile molecolare pur beneficiando della possibilità di escludere , a comando, l'uno o l'altro dei dispositivi. Naturalmente l'uso di radioelementi a nulla o trascurabile radiazione “gamma” potrebbe estendere il seducente concetto anche ai propulsori a captazione atmosferica più o meno integrale;



4° impossibilità di evacuare l'energia liberata durante le pause di funzionamento del propulsore. Difficoltà che potrebbe essere senz'altro aggirata – volendo effettuare il volo librato ovvero stazionare al suolo senza danneggiare l'aeromobile o fondere l'apparato propulsivo – mediante la continua ejezione di propulsivo (non necessariamente liquido e tratto dalla riserva di bordo) il quale agirebbe in tal caso esclusivamente da refrigerante.
Basterebbe infatti ejettare dell'aria atmosferica in direzione opposta a quella dell'ordinario “getto” motopropulsivo (mantenuto a mezza potenza)per originare una “spinta” antagonista neutralizzante la precedente , unicamente a spese dell'energia del radioelemento comunque disperdentesi senza possibilità di lavoro attivo.



Altra possibilità concettuale, consisterebbe, nella deviazione (bipartita e simmetrica) del “getto” propulsivo in direzione ortogonale. I gas potrebbero inoltre agire su dei turbomotori di recupero parziale producenti dell'energia elettrica per i vari usi di bordo.
Comunque anche in questo speciale settore la modernissima tecnica della deviazione meccanica del “getto” e dell'inversione della “spinta” potrà forse dire una parola decisiva.
Gli schemi per lo sfruttamento aeronautico dell'energia nucleare che vanno oggi per la maggiore contemplano l'adozione di una “pila uranica” protetta da schermi pesantissimi e refrigerata da un fluido radioattivamente inerte il quale muove delle turbine in ciclo chiuso azionanti delle eliche aeree ovvero attraverso ad un vasto scambiatore di calore innalza la temperatura dell'aria aspirata, compressa ed ejettata secondo il ben noto sistema turboreattivo.
Per il momento solo il sottomarino americano “Nautilus” si avvale, a titolo sperimentale, di un motore del genere. Esso nell'autunno del 1955 ha compiuto una crociera fra New London (Connecticut, U.S.A.) e San Juan de Portorico navigando per tutte le 1500 miglia in immersione (84 ore consecutive ad una velocità media di 18,4 nodi). Il prototipo dei suoi motori prima di essere installato a bordo era stato mantenuto in moto quasi ininterrottamente per 2 anni e mezzo senza richiedere alcun ulteriore rifornimento dopo la carica iniziale d'uranio:



Tutto ciò può essere giustamente considerato un vanto per l'ingegneria navale. Tuttavia le esigenze del volo sono molteplici e versatili le sue possibilità. Vediamone in breve qualcuna direttamente riferibile ai problemi in discussione.
Nessun pilota d'aeroplano si sognerebbe mai di caricare sul suo velivolo – tecnica, per assurdo, permettendolo – un quantitativo di benzina tale da consentirgli un'autonomia venti o trenta volte circumterrestre. Il ventilato allestimento di aeroplani ad energia atomica capaci di tenersi in volo per dei mesi o degli anni rappresenta dunque una incontrovertibile possibilità pratica ma anche un nonsenso operativo ed economico perchè, coperto in linea retta, tanto per esemplificare, un meridiano, l'aeromobile perverrebbe esattamente sulla verticale della base di partenza e, qualora si trattasse di un bombardiere , se avesse “sganciato” lungo l'immensa rotta, egli dovrebbe egualmente atterrare per l'imbarco del nuovo carico offensivo di caduta. Solo le operazioni marginali – come la ricognizione aerea strategica continuativa (“satelliti artificiali a parte) e la sorveglianza costiera - potrebbero avvantaggiarsi utilmente della nuova formula.
Notare inoltre che la convenzione termica (refuso, in realtà si tratta di CONVEZIONE termica – RR) mantenuta dalla lenta disintegrazione dell'uranio non consente praticamente la propulsione a getto a causa delle limitazioni imposte dalle dimensioni, dal peso e dal rendimento interno dello scambiatore di calore. In ogni caso l'adattamento reattivo (“propulsione nucleoergolica”) anche se possibile più in la nel tempo in una fase di sviluppo tecnico più avanzata, non potrà verosimilmente concedere velocità marcatamente supersoniche per l'e ccessivo sviluppo trasversale oppure in lunghezza imposto dal reattore e quindi al velivolo che lo rinserra. Modelli di velivoli propulsi da motrici a vapore volarono effettivamente verso la fine del secolo scorso. Tuttavia l'affermazione del volo meccanico si ebbe solo con la messa a punto dei primo motori endotermici e ciò era implicito nella natura stessa del nuovo mezzo di trasporto che richiedeva dei propulsori estremamente leggeri e compatti.



Il problema della “concentrazione della potenza” non potrà non riproporsi nuovamente anche nel campo della propulsione atomica riferendosi non già al “combustibile”, che ha una resa d'energia pressochè illimitata, ma alle apparecchiature che debbono estrinsecarla ed utilizzarla propulsivamente le quali, per risultare realmente efficienti, non dovranno superare certi limiti ponderali e volumetrici oltyre i quali la proposta formula “ idrovolante plurimotore” rappresenterà un vicolo cieco e il volo a propulsione nucleare non potrà evolvere verso forme e tonnellaggi d'uso realmente universale.
Nella “propulsione radioergolica” possiamo intravvedere un primo, razionale correttivo a tale stato di cose: al “pieno di carburante” per coprire un determinato percorso potremo sostituire la quantità di “radioergolo” ad equivalente resa globale di energia termica. All'autonomia oraia concessa datale “pieno”, il “periodo”Q di radiazione ad equivalente durata autonomistica (definita in funzione della velocità dell'aeromobile lungo la traiettoria). Al “potere calorifico” in kcal/kg, il “potere radiante” in curie/grammo



 
Nell'era del volo radioergolico gli aerodromi o,in senso più lato, i punti di partenza e di arrivo dovranno naturalmente sorgere in prossimità di centrali atomiche dalle quali prelevare il tipo di radioelemento artificiale adatto alla lunghezza del percorso da coprire il che, probabilmente e per molto tempo, non sarà né rapido né comodo.
Problemi di caricamento del radioergolo, di manutenzione, di controllo, di prevenzione infortunistica (in volo e al suolo): la “propulsione radioergolica” è una rosa in boccio che cela inviluppate nel suo tenero stelo diverse acute spine ma è anche un promettentissimo sistema energetico oltre che un campo d'indagine ancora pressochè vergine e quindi suscettibile di nostri utili contributi teorici. 

www.cisu.org 

lunedì 24 settembre 2012

Questo articolo apparso sulla Rivista Aeronautica n. 12 del 1957 col  titolo marchianamente errato che cita una “56^ virtù”  che non trova alcun riscontro all'interno del pezzo di Vesco (ovviamente si tratta di un refuso dato che il "5" dovrebbe essere un "4"), il quale invece, pone l'accento su uno degli aspetti fondamentali della tecnica dei DISCHI VOLANTI: il controllo (e l'utilizzo) dello “strato limite”.
Nello scritto Vesco non parla esplicitamente dei DISCHI VOLANTI mantenendosi aderente ad una analisi specifica dei fenomeni dell' “aspirazione” (suction) e “soffiamento” (blowing) dello strato limite, solo l'accenno ai metalli porosi nella parte finale ci porta per un attimo a contatto col vero obiettivo del ricercatore genovese.

RR


                            LA 56^ “VIRTU'” DELLA PROPULSIONE A REAZIONE

                                                        RENATO VESCO


Rielaborando un Suo precedente studio, P. Formentini ha portato da trenta a quarantacinque i vantaggi d'indole meccanica, termodinamica e operativa offerti dalla propulsione a reazione (cfr. Riv. Aeron. - aprile 1954, pp 426-429) auspicando ulteriori contributi per il completamento del già vasto e multiforme quadro.
La presente nota si propone appunto di richiamare l'attenzione del lettore su una “virtù” dimenticata – o a torto misconosciuta perchè suscettibile di integrare ed esaltare il pur già potente apporto evolutivo della reazione – e che possiamo così sintetizzare:

46°) La propulsione a reazione nella sua principale versione, quella turboreattiva, permetterà di rendere operante il principio di “controllo dello strato limite”.


Rappresentazione schematica di strato limite laminare, turbolento e relativo punto di transizione su una lastra piana esposta al vento relativo.

Come noto lo “strato limite” è quella sottilissima falda di aria rallentata dall'attrito sulla superficie dei corpi in moto. Sottilissima, perchè come spessore geometrico (ideale) è dell'ordine del decimillimetro, essa tuttavia – per la viscosità del mezzo fluido – aumenta notevolmente la resistenza all'avanzamento per il fatto che l'aumento di spessore dello strato limite lungo il corpo provoca ad un certo punto il distacco della corrente dalla parete dando luogo alla produzione di una scia turbolenta.
Sin dal 1904 – dopo aver definito il concetto teorico di “strato limite” - il professor Prandtl pensò di ostacolare il distacco della corrente mantenendo laminare e aderente da prora a poppa lo scorrimento del flusso atmosferico per mezzo di una riduzione artificiale e comandata (ossia del controllo) dello spessore dello strato limite. Operazione che si può tradurre in pratica usando due diversi sistemi meccanici a differente assorbimento energetico ma ad equivalente risultato ossia:

1°) Aspirazione dell'aria stagnante dall'interno del corpo (sistema Prandtl) attraverso superfici perforate, fessurate, grigliate, reticolari oppure porose.



Il primo aereo (sperimentale) che portò in volo un'ala con un sistema completo di aspirazione dello strato limite fu il Northrop X-21, che decollò per la prima volta nell'aprile del 1963. La sua ala era caratterizzata da una serie di sottili fessure (circa 800.000) che si estendevano per tutta l'apertura alare da cui veniva aspirato lo strato limite. Sebbene avesse dimostrato la possibilità di ottenere uno strato limite laminare su circa il 75% della superficie alare, il programma fu in seguito interrotto per l'eccessiva manutenzione necessaria a mantenere le fessure pulite e libere da corpi estranei  (da Wikipedia)



Il lavoro venne poi continuato negli anni '90 dalla NASA nell'ambito del progetto di ricerca per un velivolo da trasporto civile supersonico HSCT (High Speed Civil transport). Fu installato sulla semiala sinistra di un F-16KL un impianto di prova costituito da una lastra di titanio modellata sul profilo dell'ala traforata da 12 milioni di micro-fori incisi con il laser collegati mediante un sistema di tubi e valvole di regolazione ad un turbocompressore mosso dall'aria spillata dal compressore del motore.
Con questo sistema si possono ottenere coefficiente di portanza massimi dell’ordine di 5 rispetto agli 1,5 di un profilo convenzionale, ma ad oggi non è impiegato su velivoli di produzione a causa della sua complessità operativa. (da Wikipedia)

2°) Soffiamento ossia accelerazione artificiale della stessa aria (sistema Baumann) per mezzo di “getti” d'aria isufflati tangenzialmente alla superficie nei punti interessati dalla formazione del distacco.





Un "jet flap", classico esempio di soffiamento di una superficie portante. Sezione di un flap di Lockheed F-104. Con A sono indicati gli ugelli da cui esce il flusso di aria compressa (in rosso nel disegno) spillata dal compressore del motore General Electric J79 e convogliata nell'ala dal condotto C.
 Con jet flap si intende l'eiezione di un getto piano di aria compressa esteso per tutto il bordo di uscita dell'ala in grado di indurre un flusso asimmetrico ed una circolazione aggiuntiva sull'ala stessa che produce un effetto pari a quello di un ipersostentatore di grandi dimensioni.
 Questo schema, impiegato ad esempio sull'F-104, richiede tubazioni che corrono attraverso l'ala, ed è per questo noto anche come sistema a flusso interno. (da Wikipedia)

Sugli aeroplani a motoelica il controllo dello strato limite non può essere praticamente applicato a causa dell'eccessiva quantità d'aria da “lavorare” affinchè il sistema risulti efficace; occorrerebbe, all'uopo, una apposita sorgente di energia.
Sugli aeroplani a turbina l'apparato motore funziona invece in base ad una imponente captazione d'aria ( dai 40kg/sec dell'inglese R.R. “Nene” siamo giunti ormai ai 79 kg/sec del turboreattore americano P&W “J. 57”). Questa circostanza – che possiamo liberamente promuovere al rango di “virtù” - fa prevedere appunto la realizzazione di altissime velocità aviatorie perchè la regolazione del flusso aderente, oltre al ridurre la resistenza d'attrito (minimizzando l'entità della scia residua), incrementa sensibilmente la “portanza massima” delle ali. (Donde ali a superficie più ridotta e quindi ancor meno resistenti dell'ordinario).
Riporterò. A titolo d'esempio, un solo dato di paragone: secondo i calcoli del dr. Warner, l'aspirazione di mc/sec 0,37 per mq. Di superficie dorsale alare sarebbero già sufficienti per sviluppare un “coefficiente di portanza” di un normale piano alare.
Fra il 1904 e il 1937 le ricerche sullo strato limite furono condotte sporadicamente e senza alcuna coordinazione preludente a qualche immediata applicazione pratica.
A partire dal '37 l'Istituto Germanico per le Ricerche Aerodinamiche (A.V.A.) di Gottinga fece volare il monoplano ad ala alta “AF.1” (cfr. O. Sckrenk: “L'aspirazione dello strato limite” - Riv. Aeron. n.5/1941). La ditta britannica “Miles Aircraft Ltd.” dal canto suo, allestì un interessantissimo velivolo nel quale la maggior parte del dorso alare era rivestita con della lamiera perforata. Sette canaletti longitudinale e continui, molto larghi e appiattiti, portavano in fusoliera l'aria aspirata dal ventilatore. Con profilo avente uno spessore pari al 20% della corda, si ebbe in volo una diminuzione del 22% della resistenza aerodinamica della cellula, cifra già notevole ma suscettibile di forte aumento col progredire delle conoscenze in materia di “aerodinamica interna”.
Poi la guerra, colle sue richieste massive di materiale da pronto impiego, fece progredire ( entro limiti per la verità non troppo vasti) gli ordinari tipi di cellula. Tuttavia qualcosa di pratico venne egualmente studiato e tentato anche nel settore del controllo dello strato limite. In Italia fu messo a punto un ingegnoso sistema combinante i pregi dell'aspirazione e del soffiamento che venne provato con successo presso una delle Gallerie Aerodinamiche esistenti presso l'indimenticabile Centro Sperimentale di Guidonia. Alla dell' 8 settembre 1943 – che interruppe ogni residuo lavoro sperimentale – era stata felicemente avviata la sperimentazione su scala al vero. In Germania, all'incirca verso la stessa epoca, i professori Prandtl e Baumann disegnarono un caccia ad alta velocità (mai però realizzato in seguito) in cui lo strato limite alare, aspirato da fessure praticate in prossimità del punto di massimo spessore del profilo, avrebbe dovuto essere scaricato sulla superficie della fusoliera a valle del complesso alare per mezzo di una stretta “luce” a mezzaluna accelerando. Per soffiamento lo strato limite caudale sottostante alla zona timoniera. (Il metodo “combinato” risulta attualmente applicato, a titolo sperimentale, su un velivolo leggero americano il “Cessna 319” e su alcuni caccia imbarcati GRUMMAN “F.9 – F.4” mentre i “tariners” o velivoli da scuola e allenamento dell'U.S. Navy LOCKHEED “T.2 – V.1” impiegano solo il soffiamento sugli alettoni e sugli ipersostentatori).

                                                                Cessna 319 (sopra)

                                     Il caccia imbarcato Grumman F-9F4 Cougar (sopra)

 
Un Lockheed T2V-1 (T-1A) SeaStar e un Lockheed TV-2 (T-33B) Shooting Star in volo nel 1954

Nonostante la vasta mole dei dati teorici e sperimentali accumulati nel triennio 1937-1939 solo le case germaniche “ARADO” e “DORNIER” fabbricarono un modesto numero di bombardieri a corsa di rullaggio ridotta mediante l'aspirazione dello strato limite prelevato da fessure praticamente in prossimità delle cerniere
dei piani mobili dell'ala (schema A.V.A.).
In piena guerra gli Inglesi vennero a conoscenza di certe originali indagini teoriche americane sui profili a bassa resistenza e con aspirazione, elaborate – sopratutto matematicamente – dal prof. Goldstein. In base a presupposti della nuova teoria i Britannici disegnarono allora una nuova “famiglia” di stranissimi e tozzi profili alari aventi il bordo d'entrata sagomato a lobo e quello d'uscita foggiato a cuspide concavo-convessa e con una o più fessure d'aspirazione al punto d'origine dello svasamento dorsale.
Presso il “National Physical Laboratory” di Teddington il professor Griffith sperimentò a lungo i nuovi “profili gobbi” rilevando che, mentre un' “ala laminare” priva d'aspirazione e con uno spessore del 19,2% poteva fornire un Cpmax = 0,508, con un'ala “gobba” aspirata da 38/100 di spessore raggiungeva facilmente Cp = 2,5. Tuttavia la resistenza aerodinamica di quest'ultima risultò alquanto superiore alle previsioni teoriche e i progetti di applicazione dei profili “gobbi” aspirati alle cellule di aeroplanoi del tipo “Wala volante” vennero accantonati e, da allora mai più ripresi in considerazione.
Volarono, invece, ripettivamente a partire dal '42 e dal novembre del 1947 alcuni prototipi d'alianti (“A.W. 52-G”) e due bimotori a reazione
(“A.W. 52” Bat o Boomerang) derivanti dalla motorizzazione dei precedenti ma con ali a profilo laminare e con una limitata aspirazione dello strato limite verso il bordo d'uscita delle estremità alari per migliorare la stabilità del velivolo nel volo lento (cfr. “Riv. Aeron. - dicembre 1946, pp. 780-784 e settembre 1947, pp. 553-560).

                            L'ala volante Armstrong-Whitworth AW-52 (sopra e sotto)

 Uno degli apparecchi, ai primi del '49, s'infranse al suoloe il pilota si salvò azionando il dispositivo d'espulsione del seggiolino. A poco a pocole notizie sull' “A.W. 52” superstite si fecero più rade poi cessarono del tutto, essendo stata la formula “tutt'ala” rapidamente declassata dall'avvento della formula “delta” (ala triangolare).
Attualmente vola in Gran Bretagna un “trainer” DE HAVILLAND “Vampire” con ali modificate dalla “Handley Page Ltd.” (che nell'immediato dopoguerra ha assorbito i resti fallimentari della “Miles”). Un guanto” di 39 fessure longitudinali sull'estradosso della semiala sinistra (per una lunghezza di circa 1500 mm) riducendo in volo dell'82% la resistenza d'attrito del tronco alare così modificato (cfr. “Alata”, giugno giugno 1956 a pag 23).
Progetti di velivoli da trasporto sia coivile che militare con applicazione pratica del sistema H.P. Sono già sui tavoli da disegno della ditta. Tuttavia, secondo secondo il parere dello scrivente, queste non sono che marginali, modeste applicazioni di un principio che consente ben altre e più redditizie prestazioni!
Significative avvisaglie di quanto dovrebbe divenire operante in un futuro non troppo lontano ( semprechè – causa la nota riservatezza militare – non si tratti di passati e neppure tanto prossimo...) si ebbero infatti già diversi anni or sono.
Neol 1946 i progettisti dell'ala volante “A.W. 52” scrissero nel loro Rapporto Tecnico: “ Negli ultimi tempi si è pensato di abolire le bocche di captazione negli aeroplani potenziati con turbine a gas prelevando l'aria per il reattore dalla superficie dell'ala. Si prevede che la perdita di potenza in seguito alla mancanza dell'autocompressione dell'aria captata dinamicamente non avrà importanza rispetto alla prestazione totale del velivolo...”.
Sir Ben Lockespeiser nel corso di una conferenza svoltasi a Londra nel dicembre del '46 e concernente i progressi aerodinamici inglesi nell'ultimo lustro, parlando dello strato limite e dichiarandosi deciso fautore del sistema , ritenne doveroso ricordare che: “...l'aeroplano scivolerebbe attraverso l'aria allo stesso modo di un pezzo di sapone bagnato che sguscia attraverso le dita e la resistenza – specie per le ali – si ridurrebbe a meno di 1/3 del normale...”
Da parte sua il professor Relf scrisse testualmente in “Flight” del 6 giugno 1946 (cfr. Recenti progressi aerodinamici inglesi): “...Recentemente presso l'N.P.L. È stato preso preso in considerazione un ulteriore sistema di regolazione dello strato limite mediante aspirazione. Si riferisce ad un succhiamento attraverso minuti fori distribuiti su di una superficie anziché attraverso una o più fessure. Quest'idea non è nuova. Ciò che è nuovo è la produzione di un materiale poroso, sotto la forma di bronzo spugnoso, che possiede interstizi molto piccoli e ravvicinati fra loro. (...Un “bronzalluminio” sinterizzato , dunque – N.d.S.). Il dr. Preston ha considerato questo problema secondo l'aspetto teorico ed è convinto che è molto promettente. E' in corso di preparazione una serie di esperienze in proposito...”.
In precedenza a guisa d'introduzione ad una conferenza tenuta presso la “Royal Aeronautical Society” di Londra, lo stesso professor Relf aveva dichiarato: “ I recenti esperimenti di aerodinamica sull'aspirazione dello strato limite appaiono ricchi di possibilità per il futuro.... ho l'impressione che ci troviamo alla vigilia di scoperte ed avvenimenti altrettanto sensazionali quanto il volo di Orville Wright 43 anni fa...”.
Decisamente viviamo in un tempo di miracoli (miracoli tecnici, naturalmente). Si è perciò facili profeti scrivendo che la 46/ma virtù della propulsione a reazione non mancherà di ampliare notevolmente il già grandioso quadro delle possibilità aeronautiche umane. 

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                                                    Reattore Rolls-Royce Derwent 8
                                              Rolls-Royce Derwent sezione trasversale
                                                     Gloster Meteor (sopra e sotto)


  Per maggiore chiarezza ritengo interessante presentare al lettore l'intervento di Pietro Formentini che ha dato lo spunto a Vesco per intervenire a sua volta a completamento di una serie di valutazioni che all'epoca erano oggetto di serrato confronto tra specialisti.
Dobbiamo tenere presente che alla metà del secolo scorso la propulsione a reazione era ancora una novità con enormi potenzialità, tutte da  scoprire e testare. I primi velivoli a getto prodotti in serie risalivano a meno di dieci anni prima ed erano il tedesco Messerschmitt Me-262 “Schwalbe”, con ala a freccia, che era spinto da due turbogetti Junkers Jumo 004 B-1 da 900 kg/spinta ciascuno, utilizzato nell'ultimissima parte del secondo conflitto mondiale e l'inglese Gloster “Meteor”, anch'esso bireattore, ma con ala dritta, dotato di due propulsori Rolls-Royce Derwent da 1500 kg/spinta. Poi arrivarono gli americani col Lockheed P-80 seguito dagli altri caccia della “serie 80” (F-84; F-86 ecc.).
Lo scritto di Formentini comparve sulla “Rivista Aeronautica” n. 4 – aprile 1954, ma era già stato pubblicato da “La Tecnica Italiana” nel dicembre 1953.

RR

NB - Ovviamente i "vantaggi" e gli "svantaggi" elencati con tanta pignoleria da Formentini riguardano la tecnologia dei reattori del 1953.  Rapportando il tutto alla situazione attuale  è facile arguire che queste liste dovrebbero essere completamente cambiate perchè nel frattempo la tecnologia progettativa e realizzativa dei propulsori a reazione ha fatto passi da gigante.

                                                       Reattore Junkers Jumo 004
                                                                 Messerschmitt Me-262 (sopra e sotto)
 

                 
                              "45” VANTAGGI DELLA MOTOPROPULSIONE A REAZIONE

Allorchè tre anni or sono, il compilatore di queste note, presentava sulla Rivista Aeronautica nell'articolo “Aspetti del turboreattore”, un elenco inedito di 30 vantaggi della propulsione a reazione pensava che sarebbe stato difficile allungarlo ulteriormente.
L'elenco era costato un paziente lavoro di analisi e di sintesi estesa a tutti i vari aspetti delle nuove macchine e del loro impiego. Tre anni di successive esperienze e di imponente sviluppo della propulsione a reazione, hanno illuminato maggiormente il quadro fornendo elementi per formulare un'altra quindicina di vantaggi. Presentiamo l'elenco al personale dell'A.M. col convincimento che, oltrechè soddisfare la curiosità, esso rappresenti un utile indice di argomenti per acquistare familiarità con il campo della propulsione a reazione. Sembra arduo, ora, superare i 45, che le difficoltà di formularne crescono con... legge esponenziale. Non disperiamo tuttavia di arrivare al traguardo dei 50, perchè contiamo anche sulla collaborazione dei lettori ai quali chiediamo di fare pervenire all'Ufficio Studi dello S.M.A.M. (Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare – RR) i loro graditi suggerimenti.
(Naturalmente Vesco non poteva mancare un'occasione del genere così invio le sue valutazioni scritte, che, come sappiamo vennero pubblicate. - RR)

  1. - Semplicità e quindi minor facilità di avarie, avendo il 70% circa in meno di pezzi.
  2. - Leggerezza fino a 4-5 volte maggiore.
  3. - Maggiore regolarità di marcia, assenza di vibrazioni e minor rumore (specie di quelli dovuti all'elica) che contribuiscono a rendere meno faticoso il pilotaggio e meno tormentate le strutture.
  4. - La riduzione delle vibrazioni permette di alleggerire l'intera struttura del velivolo.
  5. - La maggiore regolarità nella prestazione della potenza, fornita con continuità anziché con intermittenza come ai motori alternativi dà il vantaggio di basse pressioni di lavoro in relazione al dimensionamento.
  6. - Non richiede carburanti speciali ad alto valore di ottano.
  7. - Maggior sicurezza in quanto l'uso del Kerosene, in luogo della benzina riduce i pericoli d'incendio.
  8. - Minore ingombro frontale, miglior profilo aerodinamico ed eliminazione della resistenza dell'elica. Anche il deflusso aerodinamico lungo e intorno alla cellula, non è perturbato dal flusso dell'elica.
  9. - Il rendimento propulsivo, come quello termodinamico, aumentano con la velocità del velivolo ed anche con la quota mentre il rendimento del motoelica diminuisce alle alte velocità.
  10. - Il valore della spinta resta pressochè costante con l'aumentare della velocità mentre la trazione dell'elica diminuisce sensibilmente e progressivamente dal decollo in poi.
  11. - La legge di diminuzione della spinta con la quota è meno rapida di quella della densità ed a maggior ragione meno rapida di quella della potenza dei motori alternativi normali.
  12. - Il consumo specifico ad alta quota è minore che al suolo.
  13. - L'autonomia chilometrica aumenta con la quota, mentre col motore alternativo resta costante.
  14. - L'autonomia oraria non diminuisce con la quota come accade invece per i motoelica.
  15. - La realizzazione di potenze sempre più elevate non è limitata – come nei motori alternativi – dalla diminuzione del rapporto potenza/peso.
  16. - Il minor peso dei motori consente – a parità di carico alare – di aumentare il carico pagante o quello del carburante.
  17. - Risparmio di peso per alleggerimento delle strutture alari di sostegno dei motori.
  18. - Risparmio di tempo nella durata dei viaggi per le maggiori velocità realizzabili.
  19. - Lubrificazione ridotta al minimo per mancanza di organi striscianti e conseguente riduzione di peso di olio e di ingombro serbatoi.
  20. - Assenza di impianti di accensione e carburatori.
  21. Semplicità di impianto di alimentazione in confronto ai complicati compressori dei motori alternativi.
  22. - Assenza di impianto di raffreddamento il cui sistema è incorporato nel motore.
  23. - Mette a disposizione gran quantità di aria calda per il riscaldamento cabina, per le armi e per l'impianto antighiaccio.
  24. - Semplicità e rapidità di avviamento e di portata a regime e nessuna necessità di riscaldamento preventivo del motore.
  25. - Semplicità di comandi e strumenti del motore e assenza di quelli dell'elica.
  26. - Sensibile riduzione degli effetti giroscopici, malgrado l'elevato numero di giri.
  27. - Assenza della coppia di reazione dell'elica.
  28. - Assenza degli effetti di scia delle eliche e minor molestia al volo per aerei retrostanti.
  29. - L'assenza di organi in moto alternativo consente velocità angolari più elevate e quindi maggiori potenze.
  30. - E' possibile ottenere in caso di emergenza notevoli incrementi di spinta e quindi di potenza.
  31. - Facilità ed economia di manutenzione, di ispezionabilità e di impiego non richiedendo revisioni frequenti.
  32. - L'assenza di vibrazioni permette di ridurre la manutenzione degli strumenti di bordo e delle varie installazioni ed impianti del velivolo.
  33. - Semplicità di impianto e di sistemazione sui velivoli e possibilità di sostituire un turboreattore in meno di mezz'ora.
  34. - Possibilità di montare gruppi accoppiati vicini l'uno all'altro lungo l'apertura alare a diffrenza dell'elica il cui diametro non lo consente.
  35. L'ingombro, la forma ed il peso dei turboreattori, permettono di incorporarli completamente nella fusoliera e nelle ali con possibilità di ulteriore sviluppo dei velivoli tutt'ala e senza cosa.
  36. - Minor costo e minor tempo di progettazione, costruzione e messa a punto.
  37. - Più facile e rapida progettazione di un versione ridotta od aumentata in scala, rispetto al modello collaudato.
  38. - Per le linee civili la propulsione a reazione rende più confortevoli i viaggi data l'assenza di vibrazioni, di urti metallici ed il ridotto rumore dei gas di scarico.
  39. - Permette di ridurre l'altezza del carrello di atterraggio e il suo peso.
  40. - Il basso centro di gravità facilita la frenatura del velivolo e permette di ridurre il raggio di virata a terra.
  41. - Migliori requisiti di pilotabilità dei velivoli a reazione per la maggiore maneggevolezza.
  42. - Minore vulnerabilità del motoelica all'offesa aerea avversaria.
  43. - Offre al pilota una migliore sistemazione, un campo visivo più ampio ed una maggiore sistemazione , un campo visivo più ampio ed ed una maggiore area anteriore per armamento. Sugli idrovolanti la migliore visibilità riduce i rischi.
  44. Consente maggiore precisione di tiro per l'assenza di vibrazioni e del rollio.
  45. - Intervento più pronto nel campo tattico per la maggiore velocità.

                                            Svantaggi della propulsione a reazione

Ogni medaglia ha il suo rovescio ed il turboreattore non sfugge a tale sorte. Gli svantaggi che esso presenta rispetto al motoelica si possono raggruppare nel seguente elenco:

  1. - Consumo specifico elevato e quindi minori autonomie.
  2. - Basso rendimento alle alte velocità.
  3. - Deficienza di spinta al decollo rispetto ad un motoelica di pari potenza.
  4. - Scarsa flessibilità di prestazione.
  5. - Deficiente prontezza di ripresa.
  6. - Delicatezza di costruzione.
  7. - Delicatezza per ghiaccio, sabbia, neve.
  8. - Sollecitazioni elevate nelle evoluzioni.
  9. - Non consente il frenamentp aerodinamico all'atterraggio.
  10. - Esige maggiori lunghezze di piste.

                                                                                                          Pietro Formentini


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mercoledì 5 settembre 2012

In questo scritto apparso sul settimanale ALI – anno III - n. 17 del 21 giugno 1953 , Vesco esce allo scoperto e tratta direttamente la sua teoria dei “DISCHI VOLANTI ANGLO-CANADESI” elencando (senza approfondire troppo) direttamente i vari aspetti tecnici e costruttivi dei VERI dischi volanti.
Qui possiamo apprezzare il tipo di costruzione teorica che egli, in completa solitudine, dovette elaborare, pensando, ragionando, su come sistemare l'enorme puzzle che unisce la casistica UFO del primo periodo al più avanzato pensiero aerotecnico dell'epoca.
Per un solo individuo fu uno sforzo immane, fatto di studio, acquisizione dati ed elaborazione tecnico-filosofica per immaginare un quadro complessivo probabile nel quale inserire le proprie deduzioni, intuizioni ed esperienze.
Renato Vesco è stato il solo ricercatore in materia ufologica  capace di costruire un'ipotesi iper-complessa basata su rigorosi fondamenti tecnico-scientifici e storici  che - per la parte tecnica - sono inconfutabili.
Sicuramente l'idea della paternità anglo-canadese dei DISCHI VOLANTI ha oggi l'aspetto di una forzatura ma, quando Vesco la formulò nell'ultimo scorcio degli anni '40 basandosi solo sull'analisi dei vettori d'uscita dalla scena operativa dei "flying saucer" coinvolti in un certo numero di casi della prima ora, verificatisi negli Stati Uniti, le possibilità di effettuare un'analisi realistica erano piuttosto ridotte e comunque nell'immediato dopoguerra, per chi considerava i DISCHI VOLANTI macchine di origine terrestre, non c'era molto da scegliere su chi fosse a lanciarli nei cieli dell'unica superpotenza esistente in quel momento: gli USA.
Quanto è scritto in questo articolo pubblicato da ALI in due parti , oltre che essere un riassunto di quanto il ricercatore genovese esporrà in modo esaustivo nella sua trilogia che sarà pubblicata molti anni dopo, è una pietra miliare  per la ricerca di tipo aerotecnico sugli UFO; ricerca che ancora oggi è colpevolmente deficitaria dal punto di vista della comprensione tecnica del fenomeno.

RR




                               I DISCHI VOLANTI ANGLO-CANADESI
                                                              COME SONO

                                                                  (1^ parte)


Il nostro collaboratore Renato Vesco, residente a Genova, ha speso molto tempo e molto studio per ricerche nel campo delle macchine a “portanza reattiva” - come le chiama – alle quali appartengono i cosiddetti e tanto discussi, “dischi volanti”.
Quanto egli scrive – in una forma invero un po' troppo dotta per non riuscire difficile, se non addirittura un po' oscura ai profani – abbiamo ritenuto che fosse di troppo grande interesse per tenerlo ulteriormente in attesa. Lo pubblichiamo nell'intento di dare un contributo chiarificatore e.... rivelatore dell'intera faccenda, ormai celeberrima.


L'allestimento d'intere squadriglie sperimentali di aeromobili supersonici discoidali (“Dischi volanti”) non è affatto destinato ad un prossimo futuro, come le autorità interessate vorrebbero far credere all'opinione pubblica mondiale.
I primi velati accenni a rivoluzionarie macchine volanti in fase di segreto approntamento presso i britannici ( Turleigh nel Dufordshire e successivamente stabilimenti aeronautici dell “Avro-Canada” e basi decentrate nelle zone desertiche del Canada Occidentale e forse anche dell'Australia Centrale ) risalgono all'immediato dopoguerra (1945-1946). Negli anni successivi sono le cronache che parlano di questi misteriosi velivoli con frequenza quasi quotidiana, intervallata da periodi ben definiti di intensificati avvistamenti.
Non rievocherò qui tutte le assurdità che si dissero e si scrissero sull'argomento (provenienze extraterrestri, meteoriti, macchie luminose, radiazioni di natura ignota, illusioni ottiche, ecc.) poiché alcune di esse furono profferite da bocche relativamente illustri ed è bene perciò che su di esse cada definitivamente un dignitoso oblio.
L'aeromobile discoidale canadese descritto da Amos Majani (ALI, anno III, n.12) per la semiufficialità della “rivelazione” merita invece qualche riga di commento. Innanzitutto si parte dall'ipotesi che esso sia il “VERO” disco volante anglo-canadese: è razionale e, perlomeno, realizzabile una forma del genere?
Indubbiamente “ali volanti” con pianta circolare sono costruibili e dovrebbero traslare con eccellente grado di stabilità (grazie alla stabilizzazione di natura girostatica sviluppata da gigantesco rotore annegato nello spessore della “fusoliera”) salvo gli inevitabili ed intuibili inconvenienti dovuti al noto, e qui favorevole, fenomeno della “precessione giroscopica”.
Il motore può essere una normale per quanto rarissima turbina endotermica “radiale centrifuga” con scarico (in pressione) entro un collettore tronco-anulare alimentanti i tubi propulsivi periferici.
L'irrazionalità della costruzione pseudo discoidale canadese (fatta astrazione da ogni considerazione relativa al possibile “rendimento”di un così gran numero di tubi propulsivi) non risiede dunque nell'apparato a reazione ma nella disposizione della cabina di pilotaggio.
Allorchè l'aeromobile si trasla orizzontalmente ad una determinata “incidenza” portante, la visibilità anteriore si annulla poiché la prua del velivolo in assetto cabrato togli al pilota (confinato al centro della macchina) ogni percezione visiva frontale. Anche la visibilità inferiore è assolutamente nulla (o scarsamente assicurata da un eventuale dispositivo periscopico di cui peraltro i relatori non fanno il minimo cenno). Un aeromobile del genere anziché un'arma difensiva di eccezionale potenza sarebbe sarebbe una ghiotta e ben facile preda anche per incursori di caratteristiche nettamente inferiori.
Una disposizione così atta non può ingannare un tecnico degno di tale nome ed è sorprendente il fatto che i Britannici ritengano credibile un dettaglio tanto ingenuamente negativo quando assai più razionalmente avrebbero potuto far credere che la cabina è collocata sulla prua del velivolo con pilota in posizione prona, come auspicato da tempo per i velivoli supersonici.
Un gran numero di avvistamenti è caratterizzato dal fatto che l'ordigno o gli ordigni aerei stazionavano nello spazio “cabrando” poi (spesso fulmineamente) in linea nettamente verticale a guisa di potentissimi elicotteri: è dunque dimostrato che essi possono decollare e d atterrare sulla verticale della base di lancio. Pertanto risultano assolutamente superflui i piloni di lancio, i razzi di decollo, lo sperone di atterraggio, il “tappeto elastico” e tutte le più o meno ingegnose elucubrazioni relative.






 Il “segreto” di tali manovre concerne semmai unicamente il dispositivo di propulsione che le rende possibili. Su queste noterò soltanto che ciò che gli articolisti chiamano con termine bizzarro “Motore-giroscopio” è uno speciale rotore (rotoreattore) che caratterizza l'intera costruzione conferendole qualità dinamiche eccezionali ed imponendo l'adozione di materiali vetrosi ( fiberglas e simili) e porosi genericamente designati col nome di “resine sintetiche o materiali plastici” La rotoreazione comporta inoltre un assetto traslatorio della macchina volante “ad incidenza negativa” : straordinario assetto (solo apparentemente normale) fotograficamente documentato e dovuto alla necessità di scindere vettorialmente la “spinta” generata dal complesso “rotoreattore-ala anulare” in due componenti, una delle quali “portante”, l'altra “traente”. Noterò inoltre per incidenza che detta “spinta” può essere fornita per circuitazione aerodinamica forzata o per “getti reattivi” puri, a seconda del regime cinetico assunto volta a volta dall'aeromobile.
In realtà dunque sui “VERI” Dischi Volanti anglo-canadesi la cabina si trova effettivamente al centro dell'ordigno (sdoppiata in una cabina emisferica dorsale ed una torretta periscopica parimenti emisferica ma ventrale). Le macchine volanti hanno però una forma nettamente circolare (senza tubi di scarico, timoni, prese frontali o altri elementi visibili) e non già una pianta ellittica o a losanga!
Come conciliare infatti i cosiddetti “getti falcati radiali” che talvolta attorniano gli ordigni aerostazionanti nello spazio, con la miriade di bocche d'efflusso orientate unidirezionalmente ed esclusivamente laterali e poppiere che caratterizzano lo pseudo-disco canadese?
Insisto sull'esatta forma circolare poiché il dettaglio è di primaria importanza. Per sincerarsi della veridicità del mio asserto basta del resto comparare i fotogrammi del noto passaggio brasiliano (7-5-1952) con un'istantanea di probabile provenienza messicana risalente ai primi avvistamenti del '47 (e riprodotta sul fascicolo n. 373-374 di “Sapere”).
Una delle tesi particolarmente care ai negatori dei “dischi” era quella che escludeva ogni loro possibilità di volo veloce per l' “enorme” calore sviluppato dall'attrito atmosferico.
Velocità orizzontali di 2400 chilometri orari a quota zero inducono sul corpo volante un sopraelevamento (alla parete) di circa 241°C, valore che scema però notevolmente riducendosi all'incirca alla metà nella traslazione alle normali quote stratosferiche (12-15000 m).
Aerocostruttivamente 150°C o poco più sono un sopraelevamento notevole, ma non “enorme”, di temperatura poiché la tecnica attuale dispone già di adatti materiali ( fiberglas; durestos; ceramiche e resine sintetiche in genere).

RENATO VESCO


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