lunedì 24 settembre 2012

Questo articolo apparso sulla Rivista Aeronautica n. 12 del 1957 col  titolo marchianamente errato che cita una “56^ virtù”  che non trova alcun riscontro all'interno del pezzo di Vesco (ovviamente si tratta di un refuso dato che il "5" dovrebbe essere un "4"), il quale invece, pone l'accento su uno degli aspetti fondamentali della tecnica dei DISCHI VOLANTI: il controllo (e l'utilizzo) dello “strato limite”.
Nello scritto Vesco non parla esplicitamente dei DISCHI VOLANTI mantenendosi aderente ad una analisi specifica dei fenomeni dell' “aspirazione” (suction) e “soffiamento” (blowing) dello strato limite, solo l'accenno ai metalli porosi nella parte finale ci porta per un attimo a contatto col vero obiettivo del ricercatore genovese.

RR


                            LA 56^ “VIRTU'” DELLA PROPULSIONE A REAZIONE

                                                        RENATO VESCO


Rielaborando un Suo precedente studio, P. Formentini ha portato da trenta a quarantacinque i vantaggi d'indole meccanica, termodinamica e operativa offerti dalla propulsione a reazione (cfr. Riv. Aeron. - aprile 1954, pp 426-429) auspicando ulteriori contributi per il completamento del già vasto e multiforme quadro.
La presente nota si propone appunto di richiamare l'attenzione del lettore su una “virtù” dimenticata – o a torto misconosciuta perchè suscettibile di integrare ed esaltare il pur già potente apporto evolutivo della reazione – e che possiamo così sintetizzare:

46°) La propulsione a reazione nella sua principale versione, quella turboreattiva, permetterà di rendere operante il principio di “controllo dello strato limite”.


Rappresentazione schematica di strato limite laminare, turbolento e relativo punto di transizione su una lastra piana esposta al vento relativo.

Come noto lo “strato limite” è quella sottilissima falda di aria rallentata dall'attrito sulla superficie dei corpi in moto. Sottilissima, perchè come spessore geometrico (ideale) è dell'ordine del decimillimetro, essa tuttavia – per la viscosità del mezzo fluido – aumenta notevolmente la resistenza all'avanzamento per il fatto che l'aumento di spessore dello strato limite lungo il corpo provoca ad un certo punto il distacco della corrente dalla parete dando luogo alla produzione di una scia turbolenta.
Sin dal 1904 – dopo aver definito il concetto teorico di “strato limite” - il professor Prandtl pensò di ostacolare il distacco della corrente mantenendo laminare e aderente da prora a poppa lo scorrimento del flusso atmosferico per mezzo di una riduzione artificiale e comandata (ossia del controllo) dello spessore dello strato limite. Operazione che si può tradurre in pratica usando due diversi sistemi meccanici a differente assorbimento energetico ma ad equivalente risultato ossia:

1°) Aspirazione dell'aria stagnante dall'interno del corpo (sistema Prandtl) attraverso superfici perforate, fessurate, grigliate, reticolari oppure porose.



Il primo aereo (sperimentale) che portò in volo un'ala con un sistema completo di aspirazione dello strato limite fu il Northrop X-21, che decollò per la prima volta nell'aprile del 1963. La sua ala era caratterizzata da una serie di sottili fessure (circa 800.000) che si estendevano per tutta l'apertura alare da cui veniva aspirato lo strato limite. Sebbene avesse dimostrato la possibilità di ottenere uno strato limite laminare su circa il 75% della superficie alare, il programma fu in seguito interrotto per l'eccessiva manutenzione necessaria a mantenere le fessure pulite e libere da corpi estranei  (da Wikipedia)



Il lavoro venne poi continuato negli anni '90 dalla NASA nell'ambito del progetto di ricerca per un velivolo da trasporto civile supersonico HSCT (High Speed Civil transport). Fu installato sulla semiala sinistra di un F-16KL un impianto di prova costituito da una lastra di titanio modellata sul profilo dell'ala traforata da 12 milioni di micro-fori incisi con il laser collegati mediante un sistema di tubi e valvole di regolazione ad un turbocompressore mosso dall'aria spillata dal compressore del motore.
Con questo sistema si possono ottenere coefficiente di portanza massimi dell’ordine di 5 rispetto agli 1,5 di un profilo convenzionale, ma ad oggi non è impiegato su velivoli di produzione a causa della sua complessità operativa. (da Wikipedia)

2°) Soffiamento ossia accelerazione artificiale della stessa aria (sistema Baumann) per mezzo di “getti” d'aria isufflati tangenzialmente alla superficie nei punti interessati dalla formazione del distacco.





Un "jet flap", classico esempio di soffiamento di una superficie portante. Sezione di un flap di Lockheed F-104. Con A sono indicati gli ugelli da cui esce il flusso di aria compressa (in rosso nel disegno) spillata dal compressore del motore General Electric J79 e convogliata nell'ala dal condotto C.
 Con jet flap si intende l'eiezione di un getto piano di aria compressa esteso per tutto il bordo di uscita dell'ala in grado di indurre un flusso asimmetrico ed una circolazione aggiuntiva sull'ala stessa che produce un effetto pari a quello di un ipersostentatore di grandi dimensioni.
 Questo schema, impiegato ad esempio sull'F-104, richiede tubazioni che corrono attraverso l'ala, ed è per questo noto anche come sistema a flusso interno. (da Wikipedia)

Sugli aeroplani a motoelica il controllo dello strato limite non può essere praticamente applicato a causa dell'eccessiva quantità d'aria da “lavorare” affinchè il sistema risulti efficace; occorrerebbe, all'uopo, una apposita sorgente di energia.
Sugli aeroplani a turbina l'apparato motore funziona invece in base ad una imponente captazione d'aria ( dai 40kg/sec dell'inglese R.R. “Nene” siamo giunti ormai ai 79 kg/sec del turboreattore americano P&W “J. 57”). Questa circostanza – che possiamo liberamente promuovere al rango di “virtù” - fa prevedere appunto la realizzazione di altissime velocità aviatorie perchè la regolazione del flusso aderente, oltre al ridurre la resistenza d'attrito (minimizzando l'entità della scia residua), incrementa sensibilmente la “portanza massima” delle ali. (Donde ali a superficie più ridotta e quindi ancor meno resistenti dell'ordinario).
Riporterò. A titolo d'esempio, un solo dato di paragone: secondo i calcoli del dr. Warner, l'aspirazione di mc/sec 0,37 per mq. Di superficie dorsale alare sarebbero già sufficienti per sviluppare un “coefficiente di portanza” di un normale piano alare.
Fra il 1904 e il 1937 le ricerche sullo strato limite furono condotte sporadicamente e senza alcuna coordinazione preludente a qualche immediata applicazione pratica.
A partire dal '37 l'Istituto Germanico per le Ricerche Aerodinamiche (A.V.A.) di Gottinga fece volare il monoplano ad ala alta “AF.1” (cfr. O. Sckrenk: “L'aspirazione dello strato limite” - Riv. Aeron. n.5/1941). La ditta britannica “Miles Aircraft Ltd.” dal canto suo, allestì un interessantissimo velivolo nel quale la maggior parte del dorso alare era rivestita con della lamiera perforata. Sette canaletti longitudinale e continui, molto larghi e appiattiti, portavano in fusoliera l'aria aspirata dal ventilatore. Con profilo avente uno spessore pari al 20% della corda, si ebbe in volo una diminuzione del 22% della resistenza aerodinamica della cellula, cifra già notevole ma suscettibile di forte aumento col progredire delle conoscenze in materia di “aerodinamica interna”.
Poi la guerra, colle sue richieste massive di materiale da pronto impiego, fece progredire ( entro limiti per la verità non troppo vasti) gli ordinari tipi di cellula. Tuttavia qualcosa di pratico venne egualmente studiato e tentato anche nel settore del controllo dello strato limite. In Italia fu messo a punto un ingegnoso sistema combinante i pregi dell'aspirazione e del soffiamento che venne provato con successo presso una delle Gallerie Aerodinamiche esistenti presso l'indimenticabile Centro Sperimentale di Guidonia. Alla dell' 8 settembre 1943 – che interruppe ogni residuo lavoro sperimentale – era stata felicemente avviata la sperimentazione su scala al vero. In Germania, all'incirca verso la stessa epoca, i professori Prandtl e Baumann disegnarono un caccia ad alta velocità (mai però realizzato in seguito) in cui lo strato limite alare, aspirato da fessure praticate in prossimità del punto di massimo spessore del profilo, avrebbe dovuto essere scaricato sulla superficie della fusoliera a valle del complesso alare per mezzo di una stretta “luce” a mezzaluna accelerando. Per soffiamento lo strato limite caudale sottostante alla zona timoniera. (Il metodo “combinato” risulta attualmente applicato, a titolo sperimentale, su un velivolo leggero americano il “Cessna 319” e su alcuni caccia imbarcati GRUMMAN “F.9 – F.4” mentre i “tariners” o velivoli da scuola e allenamento dell'U.S. Navy LOCKHEED “T.2 – V.1” impiegano solo il soffiamento sugli alettoni e sugli ipersostentatori).

                                                                Cessna 319 (sopra)

                                     Il caccia imbarcato Grumman F-9F4 Cougar (sopra)

 
Un Lockheed T2V-1 (T-1A) SeaStar e un Lockheed TV-2 (T-33B) Shooting Star in volo nel 1954

Nonostante la vasta mole dei dati teorici e sperimentali accumulati nel triennio 1937-1939 solo le case germaniche “ARADO” e “DORNIER” fabbricarono un modesto numero di bombardieri a corsa di rullaggio ridotta mediante l'aspirazione dello strato limite prelevato da fessure praticamente in prossimità delle cerniere
dei piani mobili dell'ala (schema A.V.A.).
In piena guerra gli Inglesi vennero a conoscenza di certe originali indagini teoriche americane sui profili a bassa resistenza e con aspirazione, elaborate – sopratutto matematicamente – dal prof. Goldstein. In base a presupposti della nuova teoria i Britannici disegnarono allora una nuova “famiglia” di stranissimi e tozzi profili alari aventi il bordo d'entrata sagomato a lobo e quello d'uscita foggiato a cuspide concavo-convessa e con una o più fessure d'aspirazione al punto d'origine dello svasamento dorsale.
Presso il “National Physical Laboratory” di Teddington il professor Griffith sperimentò a lungo i nuovi “profili gobbi” rilevando che, mentre un' “ala laminare” priva d'aspirazione e con uno spessore del 19,2% poteva fornire un Cpmax = 0,508, con un'ala “gobba” aspirata da 38/100 di spessore raggiungeva facilmente Cp = 2,5. Tuttavia la resistenza aerodinamica di quest'ultima risultò alquanto superiore alle previsioni teoriche e i progetti di applicazione dei profili “gobbi” aspirati alle cellule di aeroplanoi del tipo “Wala volante” vennero accantonati e, da allora mai più ripresi in considerazione.
Volarono, invece, ripettivamente a partire dal '42 e dal novembre del 1947 alcuni prototipi d'alianti (“A.W. 52-G”) e due bimotori a reazione
(“A.W. 52” Bat o Boomerang) derivanti dalla motorizzazione dei precedenti ma con ali a profilo laminare e con una limitata aspirazione dello strato limite verso il bordo d'uscita delle estremità alari per migliorare la stabilità del velivolo nel volo lento (cfr. “Riv. Aeron. - dicembre 1946, pp. 780-784 e settembre 1947, pp. 553-560).

                            L'ala volante Armstrong-Whitworth AW-52 (sopra e sotto)

 Uno degli apparecchi, ai primi del '49, s'infranse al suoloe il pilota si salvò azionando il dispositivo d'espulsione del seggiolino. A poco a pocole notizie sull' “A.W. 52” superstite si fecero più rade poi cessarono del tutto, essendo stata la formula “tutt'ala” rapidamente declassata dall'avvento della formula “delta” (ala triangolare).
Attualmente vola in Gran Bretagna un “trainer” DE HAVILLAND “Vampire” con ali modificate dalla “Handley Page Ltd.” (che nell'immediato dopoguerra ha assorbito i resti fallimentari della “Miles”). Un guanto” di 39 fessure longitudinali sull'estradosso della semiala sinistra (per una lunghezza di circa 1500 mm) riducendo in volo dell'82% la resistenza d'attrito del tronco alare così modificato (cfr. “Alata”, giugno giugno 1956 a pag 23).
Progetti di velivoli da trasporto sia coivile che militare con applicazione pratica del sistema H.P. Sono già sui tavoli da disegno della ditta. Tuttavia, secondo secondo il parere dello scrivente, queste non sono che marginali, modeste applicazioni di un principio che consente ben altre e più redditizie prestazioni!
Significative avvisaglie di quanto dovrebbe divenire operante in un futuro non troppo lontano ( semprechè – causa la nota riservatezza militare – non si tratti di passati e neppure tanto prossimo...) si ebbero infatti già diversi anni or sono.
Neol 1946 i progettisti dell'ala volante “A.W. 52” scrissero nel loro Rapporto Tecnico: “ Negli ultimi tempi si è pensato di abolire le bocche di captazione negli aeroplani potenziati con turbine a gas prelevando l'aria per il reattore dalla superficie dell'ala. Si prevede che la perdita di potenza in seguito alla mancanza dell'autocompressione dell'aria captata dinamicamente non avrà importanza rispetto alla prestazione totale del velivolo...”.
Sir Ben Lockespeiser nel corso di una conferenza svoltasi a Londra nel dicembre del '46 e concernente i progressi aerodinamici inglesi nell'ultimo lustro, parlando dello strato limite e dichiarandosi deciso fautore del sistema , ritenne doveroso ricordare che: “...l'aeroplano scivolerebbe attraverso l'aria allo stesso modo di un pezzo di sapone bagnato che sguscia attraverso le dita e la resistenza – specie per le ali – si ridurrebbe a meno di 1/3 del normale...”
Da parte sua il professor Relf scrisse testualmente in “Flight” del 6 giugno 1946 (cfr. Recenti progressi aerodinamici inglesi): “...Recentemente presso l'N.P.L. È stato preso preso in considerazione un ulteriore sistema di regolazione dello strato limite mediante aspirazione. Si riferisce ad un succhiamento attraverso minuti fori distribuiti su di una superficie anziché attraverso una o più fessure. Quest'idea non è nuova. Ciò che è nuovo è la produzione di un materiale poroso, sotto la forma di bronzo spugnoso, che possiede interstizi molto piccoli e ravvicinati fra loro. (...Un “bronzalluminio” sinterizzato , dunque – N.d.S.). Il dr. Preston ha considerato questo problema secondo l'aspetto teorico ed è convinto che è molto promettente. E' in corso di preparazione una serie di esperienze in proposito...”.
In precedenza a guisa d'introduzione ad una conferenza tenuta presso la “Royal Aeronautical Society” di Londra, lo stesso professor Relf aveva dichiarato: “ I recenti esperimenti di aerodinamica sull'aspirazione dello strato limite appaiono ricchi di possibilità per il futuro.... ho l'impressione che ci troviamo alla vigilia di scoperte ed avvenimenti altrettanto sensazionali quanto il volo di Orville Wright 43 anni fa...”.
Decisamente viviamo in un tempo di miracoli (miracoli tecnici, naturalmente). Si è perciò facili profeti scrivendo che la 46/ma virtù della propulsione a reazione non mancherà di ampliare notevolmente il già grandioso quadro delle possibilità aeronautiche umane. 

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                                                    Reattore Rolls-Royce Derwent 8
                                              Rolls-Royce Derwent sezione trasversale
                                                     Gloster Meteor (sopra e sotto)


  Per maggiore chiarezza ritengo interessante presentare al lettore l'intervento di Pietro Formentini che ha dato lo spunto a Vesco per intervenire a sua volta a completamento di una serie di valutazioni che all'epoca erano oggetto di serrato confronto tra specialisti.
Dobbiamo tenere presente che alla metà del secolo scorso la propulsione a reazione era ancora una novità con enormi potenzialità, tutte da  scoprire e testare. I primi velivoli a getto prodotti in serie risalivano a meno di dieci anni prima ed erano il tedesco Messerschmitt Me-262 “Schwalbe”, con ala a freccia, che era spinto da due turbogetti Junkers Jumo 004 B-1 da 900 kg/spinta ciascuno, utilizzato nell'ultimissima parte del secondo conflitto mondiale e l'inglese Gloster “Meteor”, anch'esso bireattore, ma con ala dritta, dotato di due propulsori Rolls-Royce Derwent da 1500 kg/spinta. Poi arrivarono gli americani col Lockheed P-80 seguito dagli altri caccia della “serie 80” (F-84; F-86 ecc.).
Lo scritto di Formentini comparve sulla “Rivista Aeronautica” n. 4 – aprile 1954, ma era già stato pubblicato da “La Tecnica Italiana” nel dicembre 1953.

RR

NB - Ovviamente i "vantaggi" e gli "svantaggi" elencati con tanta pignoleria da Formentini riguardano la tecnologia dei reattori del 1953.  Rapportando il tutto alla situazione attuale  è facile arguire che queste liste dovrebbero essere completamente cambiate perchè nel frattempo la tecnologia progettativa e realizzativa dei propulsori a reazione ha fatto passi da gigante.

                                                       Reattore Junkers Jumo 004
                                                                 Messerschmitt Me-262 (sopra e sotto)
 

                 
                              "45” VANTAGGI DELLA MOTOPROPULSIONE A REAZIONE

Allorchè tre anni or sono, il compilatore di queste note, presentava sulla Rivista Aeronautica nell'articolo “Aspetti del turboreattore”, un elenco inedito di 30 vantaggi della propulsione a reazione pensava che sarebbe stato difficile allungarlo ulteriormente.
L'elenco era costato un paziente lavoro di analisi e di sintesi estesa a tutti i vari aspetti delle nuove macchine e del loro impiego. Tre anni di successive esperienze e di imponente sviluppo della propulsione a reazione, hanno illuminato maggiormente il quadro fornendo elementi per formulare un'altra quindicina di vantaggi. Presentiamo l'elenco al personale dell'A.M. col convincimento che, oltrechè soddisfare la curiosità, esso rappresenti un utile indice di argomenti per acquistare familiarità con il campo della propulsione a reazione. Sembra arduo, ora, superare i 45, che le difficoltà di formularne crescono con... legge esponenziale. Non disperiamo tuttavia di arrivare al traguardo dei 50, perchè contiamo anche sulla collaborazione dei lettori ai quali chiediamo di fare pervenire all'Ufficio Studi dello S.M.A.M. (Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare – RR) i loro graditi suggerimenti.
(Naturalmente Vesco non poteva mancare un'occasione del genere così invio le sue valutazioni scritte, che, come sappiamo vennero pubblicate. - RR)

  1. - Semplicità e quindi minor facilità di avarie, avendo il 70% circa in meno di pezzi.
  2. - Leggerezza fino a 4-5 volte maggiore.
  3. - Maggiore regolarità di marcia, assenza di vibrazioni e minor rumore (specie di quelli dovuti all'elica) che contribuiscono a rendere meno faticoso il pilotaggio e meno tormentate le strutture.
  4. - La riduzione delle vibrazioni permette di alleggerire l'intera struttura del velivolo.
  5. - La maggiore regolarità nella prestazione della potenza, fornita con continuità anziché con intermittenza come ai motori alternativi dà il vantaggio di basse pressioni di lavoro in relazione al dimensionamento.
  6. - Non richiede carburanti speciali ad alto valore di ottano.
  7. - Maggior sicurezza in quanto l'uso del Kerosene, in luogo della benzina riduce i pericoli d'incendio.
  8. - Minore ingombro frontale, miglior profilo aerodinamico ed eliminazione della resistenza dell'elica. Anche il deflusso aerodinamico lungo e intorno alla cellula, non è perturbato dal flusso dell'elica.
  9. - Il rendimento propulsivo, come quello termodinamico, aumentano con la velocità del velivolo ed anche con la quota mentre il rendimento del motoelica diminuisce alle alte velocità.
  10. - Il valore della spinta resta pressochè costante con l'aumentare della velocità mentre la trazione dell'elica diminuisce sensibilmente e progressivamente dal decollo in poi.
  11. - La legge di diminuzione della spinta con la quota è meno rapida di quella della densità ed a maggior ragione meno rapida di quella della potenza dei motori alternativi normali.
  12. - Il consumo specifico ad alta quota è minore che al suolo.
  13. - L'autonomia chilometrica aumenta con la quota, mentre col motore alternativo resta costante.
  14. - L'autonomia oraria non diminuisce con la quota come accade invece per i motoelica.
  15. - La realizzazione di potenze sempre più elevate non è limitata – come nei motori alternativi – dalla diminuzione del rapporto potenza/peso.
  16. - Il minor peso dei motori consente – a parità di carico alare – di aumentare il carico pagante o quello del carburante.
  17. - Risparmio di peso per alleggerimento delle strutture alari di sostegno dei motori.
  18. - Risparmio di tempo nella durata dei viaggi per le maggiori velocità realizzabili.
  19. - Lubrificazione ridotta al minimo per mancanza di organi striscianti e conseguente riduzione di peso di olio e di ingombro serbatoi.
  20. - Assenza di impianti di accensione e carburatori.
  21. Semplicità di impianto di alimentazione in confronto ai complicati compressori dei motori alternativi.
  22. - Assenza di impianto di raffreddamento il cui sistema è incorporato nel motore.
  23. - Mette a disposizione gran quantità di aria calda per il riscaldamento cabina, per le armi e per l'impianto antighiaccio.
  24. - Semplicità e rapidità di avviamento e di portata a regime e nessuna necessità di riscaldamento preventivo del motore.
  25. - Semplicità di comandi e strumenti del motore e assenza di quelli dell'elica.
  26. - Sensibile riduzione degli effetti giroscopici, malgrado l'elevato numero di giri.
  27. - Assenza della coppia di reazione dell'elica.
  28. - Assenza degli effetti di scia delle eliche e minor molestia al volo per aerei retrostanti.
  29. - L'assenza di organi in moto alternativo consente velocità angolari più elevate e quindi maggiori potenze.
  30. - E' possibile ottenere in caso di emergenza notevoli incrementi di spinta e quindi di potenza.
  31. - Facilità ed economia di manutenzione, di ispezionabilità e di impiego non richiedendo revisioni frequenti.
  32. - L'assenza di vibrazioni permette di ridurre la manutenzione degli strumenti di bordo e delle varie installazioni ed impianti del velivolo.
  33. - Semplicità di impianto e di sistemazione sui velivoli e possibilità di sostituire un turboreattore in meno di mezz'ora.
  34. - Possibilità di montare gruppi accoppiati vicini l'uno all'altro lungo l'apertura alare a diffrenza dell'elica il cui diametro non lo consente.
  35. L'ingombro, la forma ed il peso dei turboreattori, permettono di incorporarli completamente nella fusoliera e nelle ali con possibilità di ulteriore sviluppo dei velivoli tutt'ala e senza cosa.
  36. - Minor costo e minor tempo di progettazione, costruzione e messa a punto.
  37. - Più facile e rapida progettazione di un versione ridotta od aumentata in scala, rispetto al modello collaudato.
  38. - Per le linee civili la propulsione a reazione rende più confortevoli i viaggi data l'assenza di vibrazioni, di urti metallici ed il ridotto rumore dei gas di scarico.
  39. - Permette di ridurre l'altezza del carrello di atterraggio e il suo peso.
  40. - Il basso centro di gravità facilita la frenatura del velivolo e permette di ridurre il raggio di virata a terra.
  41. - Migliori requisiti di pilotabilità dei velivoli a reazione per la maggiore maneggevolezza.
  42. - Minore vulnerabilità del motoelica all'offesa aerea avversaria.
  43. - Offre al pilota una migliore sistemazione, un campo visivo più ampio ed una maggiore sistemazione , un campo visivo più ampio ed ed una maggiore area anteriore per armamento. Sugli idrovolanti la migliore visibilità riduce i rischi.
  44. Consente maggiore precisione di tiro per l'assenza di vibrazioni e del rollio.
  45. - Intervento più pronto nel campo tattico per la maggiore velocità.

                                            Svantaggi della propulsione a reazione

Ogni medaglia ha il suo rovescio ed il turboreattore non sfugge a tale sorte. Gli svantaggi che esso presenta rispetto al motoelica si possono raggruppare nel seguente elenco:

  1. - Consumo specifico elevato e quindi minori autonomie.
  2. - Basso rendimento alle alte velocità.
  3. - Deficienza di spinta al decollo rispetto ad un motoelica di pari potenza.
  4. - Scarsa flessibilità di prestazione.
  5. - Deficiente prontezza di ripresa.
  6. - Delicatezza di costruzione.
  7. - Delicatezza per ghiaccio, sabbia, neve.
  8. - Sollecitazioni elevate nelle evoluzioni.
  9. - Non consente il frenamentp aerodinamico all'atterraggio.
  10. - Esige maggiori lunghezze di piste.

                                                                                                          Pietro Formentini


www.cisu.org

mercoledì 5 settembre 2012

In questo scritto apparso sul settimanale ALI – anno III - n. 17 del 21 giugno 1953 , Vesco esce allo scoperto e tratta direttamente la sua teoria dei “DISCHI VOLANTI ANGLO-CANADESI” elencando (senza approfondire troppo) direttamente i vari aspetti tecnici e costruttivi dei VERI dischi volanti.
Qui possiamo apprezzare il tipo di costruzione teorica che egli, in completa solitudine, dovette elaborare, pensando, ragionando, su come sistemare l'enorme puzzle che unisce la casistica UFO del primo periodo al più avanzato pensiero aerotecnico dell'epoca.
Per un solo individuo fu uno sforzo immane, fatto di studio, acquisizione dati ed elaborazione tecnico-filosofica per immaginare un quadro complessivo probabile nel quale inserire le proprie deduzioni, intuizioni ed esperienze.
Renato Vesco è stato il solo ricercatore in materia ufologica  capace di costruire un'ipotesi iper-complessa basata su rigorosi fondamenti tecnico-scientifici e storici  che - per la parte tecnica - sono inconfutabili.
Sicuramente l'idea della paternità anglo-canadese dei DISCHI VOLANTI ha oggi l'aspetto di una forzatura ma, quando Vesco la formulò nell'ultimo scorcio degli anni '40 basandosi solo sull'analisi dei vettori d'uscita dalla scena operativa dei "flying saucer" coinvolti in un certo numero di casi della prima ora, verificatisi negli Stati Uniti, le possibilità di effettuare un'analisi realistica erano piuttosto ridotte e comunque nell'immediato dopoguerra, per chi considerava i DISCHI VOLANTI macchine di origine terrestre, non c'era molto da scegliere su chi fosse a lanciarli nei cieli dell'unica superpotenza esistente in quel momento: gli USA.
Quanto è scritto in questo articolo pubblicato da ALI in due parti , oltre che essere un riassunto di quanto il ricercatore genovese esporrà in modo esaustivo nella sua trilogia che sarà pubblicata molti anni dopo, è una pietra miliare  per la ricerca di tipo aerotecnico sugli UFO; ricerca che ancora oggi è colpevolmente deficitaria dal punto di vista della comprensione tecnica del fenomeno.

RR




                               I DISCHI VOLANTI ANGLO-CANADESI
                                                              COME SONO

                                                                  (1^ parte)


Il nostro collaboratore Renato Vesco, residente a Genova, ha speso molto tempo e molto studio per ricerche nel campo delle macchine a “portanza reattiva” - come le chiama – alle quali appartengono i cosiddetti e tanto discussi, “dischi volanti”.
Quanto egli scrive – in una forma invero un po' troppo dotta per non riuscire difficile, se non addirittura un po' oscura ai profani – abbiamo ritenuto che fosse di troppo grande interesse per tenerlo ulteriormente in attesa. Lo pubblichiamo nell'intento di dare un contributo chiarificatore e.... rivelatore dell'intera faccenda, ormai celeberrima.


L'allestimento d'intere squadriglie sperimentali di aeromobili supersonici discoidali (“Dischi volanti”) non è affatto destinato ad un prossimo futuro, come le autorità interessate vorrebbero far credere all'opinione pubblica mondiale.
I primi velati accenni a rivoluzionarie macchine volanti in fase di segreto approntamento presso i britannici ( Turleigh nel Dufordshire e successivamente stabilimenti aeronautici dell “Avro-Canada” e basi decentrate nelle zone desertiche del Canada Occidentale e forse anche dell'Australia Centrale ) risalgono all'immediato dopoguerra (1945-1946). Negli anni successivi sono le cronache che parlano di questi misteriosi velivoli con frequenza quasi quotidiana, intervallata da periodi ben definiti di intensificati avvistamenti.
Non rievocherò qui tutte le assurdità che si dissero e si scrissero sull'argomento (provenienze extraterrestri, meteoriti, macchie luminose, radiazioni di natura ignota, illusioni ottiche, ecc.) poiché alcune di esse furono profferite da bocche relativamente illustri ed è bene perciò che su di esse cada definitivamente un dignitoso oblio.
L'aeromobile discoidale canadese descritto da Amos Majani (ALI, anno III, n.12) per la semiufficialità della “rivelazione” merita invece qualche riga di commento. Innanzitutto si parte dall'ipotesi che esso sia il “VERO” disco volante anglo-canadese: è razionale e, perlomeno, realizzabile una forma del genere?
Indubbiamente “ali volanti” con pianta circolare sono costruibili e dovrebbero traslare con eccellente grado di stabilità (grazie alla stabilizzazione di natura girostatica sviluppata da gigantesco rotore annegato nello spessore della “fusoliera”) salvo gli inevitabili ed intuibili inconvenienti dovuti al noto, e qui favorevole, fenomeno della “precessione giroscopica”.
Il motore può essere una normale per quanto rarissima turbina endotermica “radiale centrifuga” con scarico (in pressione) entro un collettore tronco-anulare alimentanti i tubi propulsivi periferici.
L'irrazionalità della costruzione pseudo discoidale canadese (fatta astrazione da ogni considerazione relativa al possibile “rendimento”di un così gran numero di tubi propulsivi) non risiede dunque nell'apparato a reazione ma nella disposizione della cabina di pilotaggio.
Allorchè l'aeromobile si trasla orizzontalmente ad una determinata “incidenza” portante, la visibilità anteriore si annulla poiché la prua del velivolo in assetto cabrato togli al pilota (confinato al centro della macchina) ogni percezione visiva frontale. Anche la visibilità inferiore è assolutamente nulla (o scarsamente assicurata da un eventuale dispositivo periscopico di cui peraltro i relatori non fanno il minimo cenno). Un aeromobile del genere anziché un'arma difensiva di eccezionale potenza sarebbe sarebbe una ghiotta e ben facile preda anche per incursori di caratteristiche nettamente inferiori.
Una disposizione così atta non può ingannare un tecnico degno di tale nome ed è sorprendente il fatto che i Britannici ritengano credibile un dettaglio tanto ingenuamente negativo quando assai più razionalmente avrebbero potuto far credere che la cabina è collocata sulla prua del velivolo con pilota in posizione prona, come auspicato da tempo per i velivoli supersonici.
Un gran numero di avvistamenti è caratterizzato dal fatto che l'ordigno o gli ordigni aerei stazionavano nello spazio “cabrando” poi (spesso fulmineamente) in linea nettamente verticale a guisa di potentissimi elicotteri: è dunque dimostrato che essi possono decollare e d atterrare sulla verticale della base di lancio. Pertanto risultano assolutamente superflui i piloni di lancio, i razzi di decollo, lo sperone di atterraggio, il “tappeto elastico” e tutte le più o meno ingegnose elucubrazioni relative.






 Il “segreto” di tali manovre concerne semmai unicamente il dispositivo di propulsione che le rende possibili. Su queste noterò soltanto che ciò che gli articolisti chiamano con termine bizzarro “Motore-giroscopio” è uno speciale rotore (rotoreattore) che caratterizza l'intera costruzione conferendole qualità dinamiche eccezionali ed imponendo l'adozione di materiali vetrosi ( fiberglas e simili) e porosi genericamente designati col nome di “resine sintetiche o materiali plastici” La rotoreazione comporta inoltre un assetto traslatorio della macchina volante “ad incidenza negativa” : straordinario assetto (solo apparentemente normale) fotograficamente documentato e dovuto alla necessità di scindere vettorialmente la “spinta” generata dal complesso “rotoreattore-ala anulare” in due componenti, una delle quali “portante”, l'altra “traente”. Noterò inoltre per incidenza che detta “spinta” può essere fornita per circuitazione aerodinamica forzata o per “getti reattivi” puri, a seconda del regime cinetico assunto volta a volta dall'aeromobile.
In realtà dunque sui “VERI” Dischi Volanti anglo-canadesi la cabina si trova effettivamente al centro dell'ordigno (sdoppiata in una cabina emisferica dorsale ed una torretta periscopica parimenti emisferica ma ventrale). Le macchine volanti hanno però una forma nettamente circolare (senza tubi di scarico, timoni, prese frontali o altri elementi visibili) e non già una pianta ellittica o a losanga!
Come conciliare infatti i cosiddetti “getti falcati radiali” che talvolta attorniano gli ordigni aerostazionanti nello spazio, con la miriade di bocche d'efflusso orientate unidirezionalmente ed esclusivamente laterali e poppiere che caratterizzano lo pseudo-disco canadese?
Insisto sull'esatta forma circolare poiché il dettaglio è di primaria importanza. Per sincerarsi della veridicità del mio asserto basta del resto comparare i fotogrammi del noto passaggio brasiliano (7-5-1952) con un'istantanea di probabile provenienza messicana risalente ai primi avvistamenti del '47 (e riprodotta sul fascicolo n. 373-374 di “Sapere”).
Una delle tesi particolarmente care ai negatori dei “dischi” era quella che escludeva ogni loro possibilità di volo veloce per l' “enorme” calore sviluppato dall'attrito atmosferico.
Velocità orizzontali di 2400 chilometri orari a quota zero inducono sul corpo volante un sopraelevamento (alla parete) di circa 241°C, valore che scema però notevolmente riducendosi all'incirca alla metà nella traslazione alle normali quote stratosferiche (12-15000 m).
Aerocostruttivamente 150°C o poco più sono un sopraelevamento notevole, ma non “enorme”, di temperatura poiché la tecnica attuale dispone già di adatti materiali ( fiberglas; durestos; ceramiche e resine sintetiche in genere).

RENATO VESCO


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