martedì 10 luglio 2012

Vesco, gli scritti: gli articoli degli anni '50


 Nel quadro degli studi che Vesco fece sui carburanti di ultima generazione (per l’epoca), questa breve recensione da lui firmata, comparve sulla rivista mensile dell'Associazione Scienze Astronautiche nr. 9 del 15 settembre 1954.  

RR

Nota: I testi sono riprodotti seguendo fedelmente gli originali

Corelli: ABBASSAMENTO DEL PUNTO DI CONGELAZIONE DEL TETRANITROMETANO MEDIANTE MEZZI CHIMICI. (Memoria presentata al 4° Congresso Astronautico Internazionale di Zurigo).

Segnalato da VESCO RENATO perito aeronautico, Genova.

….. Il TETRANITROMETANO (C(NO2)4) [nel testo originale ma l’esposizione esatta è: C(NO(2))(4), ma anche CN4O8 - ndr] con il suo 62,5% in peso di ossigeno nitrico particolarmente attivo, costituisce un energico ossidante che può essere utilmente impiegato nei sistemi propulsivi liquidi ad alte prestazioni. Ma, con la generalità di caratteristiche particolarmente favorevoli, come il peso specifico elevato (1,65), la buona stabilità chimica alle condizioni ordinarie di temperatura e pressione, la facile conservazione e manipolazione , l'ininfiammabilità, la pratica inesplosività, il TETRANITROMETANO presenta il serio inconveniente di essere facilmente congelabile, in modo tale che a +13°C già solidifica sotto forma di ammasso cristallino.
E' pertanto interessante studiare la possibilità di abbassare il punto di congelazione del tetranitrometano mediante mezzi chimici chimici diretti (aggiuntivi).
Dopo un certo numero di prove infruttuose, si è finalmente trovato che vi è la POSSIBILITA' DI SCIOGLIERE DELLE FORTI QUANTITA' DI PEROSSIDO D'AZOTO nel tetranitrometano e di ottenere con tal mezzo un importante ABBBASSAMENTO DEL PUNTO DI CONGELAZIONE: per esempio, una soluzione satura contenente all'incirca il 24% in volume di perossido d'azoto comincia a solidificare intorno a meno 10°C.
Con delle concentrazioni più elevate , gli abbassamenti saranno più notevoli.
Si è pure esaminata la possibilità di impedire la solidificazione del tetranitrometano nei serbatoi facendo ricorso a dei mezzi chimici INDIRETTI, cioè mediante il riscaldamento (termostaticamente regolato)che si genera nella decomposizione esotermica dell’acqua ossigenata ad alta concentrazione su di un catalizzatore solido.
NOTE DEL SEGNALATORE:
Il prof. Corelli ha chiamato col nome convenzionale di SUPEROXOL le soluzioni di tetranitrometano più perossido d’azoto (quest’ultimo N2O4 non è altro che la nota IPOAZOTIDE o tetrossido d’azoto delle vecchien esperienze romane del 1929/32) proteggendo la sua scoperta con la domanda N° 70/381 dell’Ufficio Centrale Brevetti.
Il Tetranitrometano si presta alla composizione di interessanti miscele combustibili “binarie” (ossia a due elementi). Fra le principali citerò:
I°) TERANITROMETANO più EPTANO, (I parte in peso di eptano per 7.18 di ossidante) che da una temperatura massima di circa 4900°C e una potenza teorica esplosiva di Kgm 728450 per Kg di miscela.(Assai prossima cioè a quelle prodotte dalla famosa OSSILIQUITE, miscela di ossigeno liquido al 27% di nerofumo e dalla GELATINA ESPLOSIVA).
2°) TETRANITROMETANO più CARBONE (indubbiamente il più interessante tra i “litergoli” o sistemi “liquido più solido”) di poco inferiore alla precedente come potenza resa, ma di gran lunga più economica ed a maggiore concentrazione(densità). Versando del tetranitrometano sul carbone acceso, questo brucia con intenso splendore: l’operazione richiede pertanto le necessarie cautele (pur non essendo in sé pericolosa quanto il maneggio degli esplosivi e dei liquidi combustibili).
La chiusa della recensione (a firma Eula-Partel è apparsa su “L’Aerotecnica” fascicolo 5/1953) accenna ad un metodo “indiretto” di auto-riscaldamento: trattasi probabilmente della nota reazione esotermica (ossia con produzione di abbondante vapore surriscaldato) “perossido di idrogeno (acqua ossigenata all87/90%) più permanganato sodico e potassico (che fra l’altro fu ampiamente usata per muovere le turbopompe del famoso siluro razzo V 2.)
Per maggiori schiarimenti consultare: Corelli – IL TETRANITROMETANO E LA SUA PREPARAZIONE TECNICA – L’AEROTECNICA ,fasc 5/1948;e Corelli – L’ABBASSAMENTO ecc. in “L’AEROTECNICA” – FASC 6/1953

Firmato: RENATO VESCO – Genova

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 Questo articolo di Vesco apparve sul periodico aeronautico “L’Ala” n° 15 – anno VII del 15 ottobre 1951.
In questa occasione l’autore genovese faceva alcune precisazioni sugli autoreattori oltre a descrivere un endoreattore per aeromodelli da lui progettato nel tentativo di sollecitare altri modellisti evoluti dediti alla ricerca sui propulsori a fare altrettanto. In questo momento Vesco aveva già ben chiari i fondamenti tecnici su cui si fondavano i “dischi volanti” ed era parimenti conscio che la sua intuizione se esplicitata con troppa chiarezza avrebbe potuto fornire a qualcuno - magari all’interno di un ufficio progettazione di una grande industria aeronautica - il giusto input che, con gli enormi capitali disponibili, gli avrebbe permesso di realizzare quel capolavoro tecnologico che Vesco sapeva essere esclusiva sua e degli albionici costruttori dei DISCHI VOLANTI.
L’esortazione finale alla condivisione delle idee e dei progetti ha proprio lo scopo di tentare di mettere in comunicazione un pool di modellisti evoluti capaci immaginare e testare propulsori in scala ridotta che oggi definiremmo “esotici”, mantenendo i costi di ricerca alla portata del budget di un singolo individuo.
Ovviamente l’invito cadde nel vuoto, sia per la scarsa propensione dei modellisti a scambiarsi idee nel timore di fornire ad altri “segreti” ottenuti con fatica e non pochi fallimenti, sia perché nessuno - allora come ora - aveva in mente un affresco tecnologico d’avanguardia come quello che troneggiava nella mente di Renato Vesco.   

RR


Nota sui micro-reattori a combustibile liquido e sull’endoreattore VE.RE “Asteroide” per aeromodelli

La lettura dell’articolo “Razzo a combustibile liquido per aeromodelli” firmato da Aldo Dedè (L’ALA – VII, n 7) mi induce a stendere alcune rettifiche accompagnate da un sommario esame del problema.
Innanzi tutto è bene precisare che il termine razzo è impropriamente usato in quanto il reattore A.D. non è un “endoreattore”. I propulsori che funzionano bruciando il combustibile nell’aria spontaneamente captata e compressa per effetto di semplice moto relativo, si chiamano “autoreattori” e nel caso in esame - stante la modesta velocità di traslazione – il dispositivo può essere senz’altro classificato come un “reattore iposonoro”.
L’idea di migliorare il funzionamento dell’autoreattore munendolo di un adatto collettore non è nuova. L’autoreattore C.F.2 (cfr, L’ALA – V, n.8) infatti comportava tale installazione (utilizzata inoltre per carburare il flusso mediante il solito “spillo”) ma dopo una lunga serie di prove esso fu abbandonato dal costruttore perché, sebbene presentasse un funzionamento discretamente regolare, il rendimento era inaccettabile.
Pur essendo problematico se il volo circolare possa neutralizzare almeno in parte gl’inconvenienti lamentati e sorvolando sull’elastica questione del rendimento, lo schema dell’autoreattore A.D. è comunque suscettibile di applicazione sperimentale a condizione di apportarvi due fondamentali modifiche.  In primo luogo occorre rimuovere gli iniettori della camera di combustione (che comporterebbero l’adozione di un serbatoio in pressione) sostituendoli con un comune micro-carburatore collocato nella sezione ristretta del tubo Venturi. Con una presa accuratamente studiata la velocità d’immissione dell’aria nel combustore può raggiungere 200 m sec.: a tale regime i carburatori normali a spillo e tubetto passanti aumentano notevolmente le resistenze allo scorrimento dell’aria.  Perciò il tipo più indicato è quello a spruzzatore anulare, molto diffuso in aeronautica ed impiegato – tanto per citare un esempio – sul motore Allison V1710 C17 che equipaggiava il ben noto “Aircobra” (il riferimento è al caccia monomotore Bell P-39 “AIRACOBRA” – RR).
Data l’indispensabile semplificazione (fig. 1), la regolazione si effettua ruotando il convergente in modo da ampliare o restringere la gola anulare d’erogazione o “getto” del carburante. Anche l’ugello d’efflusso del reattore va completamente ridisegnato assegnandogli un profilo leggermente convergente, ricordando che in linea di massima sulla forma dell’ugello influiscono principalmente i seguenti fattori: la pressione Pc nella camera di combustione, la pressione Pe nel tubo d’efflusso e la pressione atmosferica esterna Pa.
In generale queste ultime non coincidono. Si hanno perciò tre possibili casi: Pe=Pa, Pe>Pa, Pe<Pa. Nel primo caso l’espansione avviene totalmente nell’ugello dal quale esce perciò un getto cilindrico; nel secondo caso il gas continua la sua espansione all’esterno,nel terzo caso (fig. 2) il flusso si contrae staccandosi dalla parete causa il prevelere della pressione atmosferica e si ha una periodica formazione di onde d’urto nella colonna gassosa che ne riduce la velocità d’efflusso ed altera il buon andamento della combustione.  La pressione massima dei cicli autoreattivi è quella spontanea di captazione e per una velocità media di immissione di 150 m sec. - nella migliore delle ipotesi – è appena 1477 mm. H2O ossia 1.18 Kg/cmq. assoluti teorici. Adottando un ugello del tipo Laval, la depressione nel divergente e le relative pulsazioni ondose sarebbero perciò inevitabili.
Giova inoltre ricordare che il rendimento del combustore raggiunge praticamente il suo massimo quando il rapporto fra la sezione di immissione (o bocca semplice di captazione) S2 e quella della camera di combustione S3 vale S2/S3 = 0.16. Una rigorosa trattazione matematica dei problemi termodinamici connessi al progetto delle macchine autopropulse è data dal magg. Gambarucci nella sua “ Teoria elementare del termopropulsore ideale” (L’Aerotecnica, XXI, n. 12/1941) alla quale rimando chi desiderasse maggiori dettagli in proposito. L’autore dell’articolo in esame, ad un certo punto dichiara ad un certo punto dichiara: ”Essendo per noi impossibile portare sul modello il comburente, che è generalmente costituito da ossigeno liquido ecc. useremo come tele l’aria stessa”. Premesso che un “razzo” è tale solo alla condizione che il suo ciclo termico sia totalmente indipendente dall’ambiente circostante, lo schema di un autentico endoreattore a combustibile liquido è stato da tempo illustrato da G. Franceschi (cfr. L’ALA – II, n. 11).  Il congegno consta di una bombolina d’aria compressa a 7 atm. Della capacità di circa 600 cmc., di un serbatoio di combustibile munito di travaso con carburatore a spilloe di una camera di combustione con ugello reattivo.
Impiegando l’ossigeno gassoso fortemente compresso (cfs. L’articolo di P.L. Gnesi (in l’ALA – VI, n.4) in luogo dell’aria e riservando a questa solo il compito di “pompare” il carburante ci si avvicinerebbe maggiormente agli schemi classici degli endoreattori aeronautici e balistici.  Ma – come giustamente osserva l’ideatore del microserbatoio per l’ossigeno compresso – simili ordigni come pure quello che descriverò in seguito, non devono essere maneggiati che da persone in possesso di di una adeguata cultura ed esperienza in materia. Inoltre l’adozione di serbatoi plurimi implica aggravi ponderali, volumetrici e costruttivi difficilmente tollerabili nel campo dell’impiego modellistico.  Forse la soluzione del problema potrebbe essere fornita dall’impiego del nitrometano.
Si deve al prof. L. Crocco la scoperta che il nitrometano (CH3NO2) può essere impiegato singolarmente quale sostanza energetica (mono-propellente) dato che per la sua specifica composizione molecolare è auto-combustibile pur senza essere praticamente esplosivo. Infatti in esso, ad una parte combustibile (CH3….) è associata una parte comburente (….NO2) sotto la forma di ossigeno nitrico.  Beninteso la reazione esotermica si sviluppa spontaneamente solo in base a determinate condizioni di temperatura e di pressione nel combustore , i cui limiti variano in funzione della purezza del prodotto. L’argomento del nitrometano come supercarburante per i motorini a stantuffo è stato trattato da P.L. Gnesi - in l’ALA – VI, n.19) ma per maggiori chiarimenti sulle sue caratteristiche chimiche o sulle modalità di preparazione è consigliabile la consultazione di lavori del prof. M. Corelli (in “Annali della chimica applicata” XXXVIII – 96/1948) che con particolare competenza e diligenza si è dedicato a tale ordine di ricerche in vista delle sue eccezionali qualità come mono propellente per razzi.  Lo stesso autore ha inoltre condotto un’accurata indagine sperimentale per stabilire il preciso grado di solubilità del nitrometano in acqua e viceversa (cfr. “L’Aerotecnica” XXX, n.1/1950), problema importante anche dal nostro punto di vista perché le esperienze potrebbero ad esempio confermare se la diluizione del nitrometano possa condurre ad incrementi di spinta o, comunque, a più ridotti consumi massici di una sostanza che attualmente è di assai difficile reperibilità e molto costosa.  Sarebbe anche interessante sperimentare – s’intende con le dovute cautele - una miscela (CH3NO2 + H2O2) in quanto sono dell’opinione che una saturazione di ossidante possa agevolare la scissione del nitrogruppo dalla molecola fondamentale a pressioni e temperature meno elevate dell’ordinario. Ad ogni modo la diluizione del nitrometano e l’inclusione di adtti catalizzatori liquidi o solidali, sono problemi che richiedono attrezzature sperimentali particolari e non si prestano ad applicazioni immediate. Perciò per un progetto pratico di razzo monoliquido per aeromodellismo occorre ripiegare sull’uso del nitrometano puro, le cui caratteristiche d’impiego sono sufficientemente note.
L’endoreattore VE.RE “Asteroide”che ho ideato da tempo in attesa che una nota ditta milanese ponga in commercio il nitrometano come annunciato dai suoi listini, consta essenzialmente dei seguenti organi:
1)  Una normale camera di combustione in lamiera d’acciaio inossidabile divisa in due parti – per comodità di costruzione e montaggio dell’iniettore – congiunta da una flangia imbullonata con interposta guarnizione incombustibile.
2)Un serbatoio sferico, anch’esso in lamiera d’acciaio, diviso in due collettori emisferici da una lastra circolare piana intermedia . I tre bordi sono equatorialmente congiunti da una saldatura elettrica continua ed i collettori sono muniti rispettivamente di tappo e di valvolina per la carica del liquido e dell’aria compressa.
3)Un rubinetto con riduttore di pressione, applicato alla piastra intermedia dal lato dell’aria in pressione.
4)Un condotto tubolare di piccola sezione collegante il serbatoio alla camera di combustione.
5)Un iniettore con valvolina di non ritorno a sferetta d’acciaio.
Anima di tutto il complesso è il serbatoio che funziona anche da pompa e da regolatore della pressione d’alimentazione del razzo. Sezionandolo longitudinalmente si nota subito che l’organo più importante e complesso è il rubinetto-riduttore costituito dall’incastellatura cilindrica a doppio zoccolo A che, tramite il serraggio dei dadi d’estremità B e C, muniti di adatte guarnizioni plastiche , esercita sulla piastra base e sulla volta emisferica superiore una pressione concomitante di irrigidimento e di bloccaggio. Essa è forata assialmente e nella sua anima ruota a perfetta tenuta il maschio D del rubinetto di pompaggio, prolungato sino all’esterno per ricevere il bottone zigrinato E e munito all’estremo opposto di una testa cilindrica F ricavata per tornitura che ha il compito di bloccare assialmente il rotante e migliorarne l’ermeticità.  Il maschio D – risultante dall’unione di due parti distinte congiunte a filettatura forzata oppure con perno trasversale e ribattiture annegate – rinserra nel suo corpo il riduttore di pressione, il cui uso è assolutamente indispensabile perché rende regolare l’alimentazione del carburatore aumentando la durata di funzionamento del reattore.
Vi sono diversi tipi di riduttori: a sfere oscillanti, a membrane vibranti, a spine fisse di strozzamento.
Ogni tipo ha i suoi pregi ed i suoi difetti caratteristici. Per il progetto dell’ “Asteroide” mi sono avvalso di un tipo non molto semplice ma di sicuro affidamento, che dette ottime prove in aeromodellismo al tempo dei motorini ad aria compressa. Esso è formato da una camera cilindrica divisa internamente in due vani da un diaframma riportato H forato al centro.  In questo foro si adatta una valvola conica M fissata all’estremo del gambo a comunica invece al pistone N a tenuta perfetta e scorrevole entro la camera di decompressione. Il pistone è premuto da una molla a spirale P la cui pressione è regolabile per mezzo del perno P a vite Q, concentrico al maschio del rubinetto. La camera di pressione R è in comunicazione con l’interno del serbatoio mediante fori combacianti S, la camera O comunica invece col serbatoio del nitrometano a mezzo del condotto a gomito T, il cui orifizio di alimentazione è posto inferiormente al pistone e cioè tra questo e il diaframma. Una vitina forzata U tura il foro eccedente praticato per necessità di lavorazione. Il funzionamento il seguente: si supponga di avere nel serbatoio all’inizio del funzionamento una data pressione X e di alimentare il combustore ad una pressione minore Y. Aperto il rubinetto (ed opportune tacche sulla testa F o sul bottone E potranno far si che esso si arresti a colpo sicuro sulla posizione di massima apertura o di massima chiusura) l’aria affluirà con la pressione X nella camera R e passerà nella camera O attraverso lo spazio lasciato libero dalla valvola conica che è tenuta aperta dalla molla.
L’aria con la pressione X agirà contemporaneamente sul liquido del serbatoio sottostante – mettendolo energicamente in moto nella tubazione d’alimentazione, permettendogli così di vincere agevolmente le resistenze supplementari di apertura del circuito – sul pistone N. Quindi su quest’ultimo da un lato agirà la molla regolata per resistere alla pressione Y e dall’altro lato la pressione iniziale X: perciò il pistone si sposterà comprimendo la molla e strozzando l’afflusso dell’aria attraverso la sede della valvola.  Quando attraverso il foro del diaframma può passare soltanto una quantità d’aria tale che espandendosi nella camera O la pressione si riduca al valore Y, il pistone si arresta per il raggiungimento dell’equilibrio fra la molla e la pressione dell’aria. Essendo la valvolina collegata direttamente al pistone, la decomposizione si effettua in modo costante, senza arresti o sbalzi. Quando la pressione nel serbatoio d’aria sarà ridotta al valore Y, la valvola per effetto della molla si aprirà sempre più, lasciando passare maggiori volumi di gas ed assicurando l’alimentazione (a pressione ridotta anche durante l’ultima fase di funzionamento del reattore.
Il materiale da impiegare per la costruzione del rubinetto-riduttore deve essere leggero, resistente, levigabile ed esente da ossidabilità accentuata: l’ottone è il più indicato, ovviamente ad eccezione della molla d’acciaio e del bottone zigrinato che può essere in alluminio o in bachelite. Il montaggio del serbatoio va fatto in due tempi. In primo luogo occorre tarare approssimativamente la molla del riduttore. Collocatala nella sua sede e montato l’intero rubinetto sulla piastra intermedia, si applicano le due semisfere in precedenza munite dei raccordi di carica e di travaso dei fluidi ed infine si saldano elettricamente i bordi realizzando un complesso ermetico e compatto.  Caricato il serbatoio di aria compressa si collega il raccordo di travaso del propellente con la presa di un manometro e si regola il perno Q del riduttore fino a tanto che lo scarico del gas si effettui alla pressione voluta. Occorre astenersi scrupolosamente dal lubrificare il pistone del riduttore ed ogni altro pezzo mobile in genere: la perfetta tenuta fra le varie parti va conseguita esclusivamente mediante la loro accurata rifinitura perché i lubrificanti odierni, in quanto derivati organici del petrolio, possono reagire esplosivamente in presenza del nitrogruppo (NO2) contenuto nel propellente. Il raccordo di carica del serbatoio d’aria deve essere munito di valvolina conica di ritegno, simile per concezione alle comuni valvole da pneumatici per biciclette e motocicli: l’adozione di un tappo filettato di protezione è facoltativa.
Il raccordo di travaso del liquido invece è un tubetto a T coricato, la cui branca inferiore sopporta il tappo di caricamento. Il serbatoio può essere fissato con bulloncini alle fiancate del velivolo mediante due alette diametralmente opposte, ricavate dal corpo della piastra piana intermedia che in tal caso va originariamente tagliata di forma quadrata (col lato eguale al diametro massimo delle mezze sfere bordo compreso). A saldatura ultimata, le due alette laterali vengono smussate e forate mentre le altre, ad esse perpendicolari, si asportano a lima se inservibili.  L’iniettore è del tipo aperto senza parti in movimento. Una sferina funzione da valvola di non ritorno. Ricavato preferibilmente da un tondino di ferro (che poi va cromato) altrimenti d’ottone, deve essere privo di spigoli per evitare disaggregazioni del metallo sotto l’impulso dell’alta temperatura. Il diametro del “getto” va calcolato in base alla pressione che si desidera realizzare nel combustore ed alla “portata” prefissa. La velocità d’iniezione va scelta in modo che risulti possibilmente alquanto superiore a quella di infiammabilità del propellente.  Anche la camera di combustione deve essere priva di spigoli per la stessa ragione: per il suo dimensionamento valgono le note formule correntemente applicate nel progetto dei motori termici.  Qualche parola di più richiede invece il problema dell’accensione. Nelle prime esperienze eseguite nel 1934 sotto il vincolo del segreto i prof. L. Crocco e M. Corelli impiegarono una speciale “bomba a decomposizione” in acciaio inossidabile entro la quale iniettavano il liquido sotto pressione che venuto a contatto con le pareti di un crogiolo inizialmente riscaldato al rosso scuro si decomponeva esotermicamente sviluppando un grande volume di prodotti gassosi. Data l’entità e la costanza della temperatura massima del ciclo è da escludere che una normale candela ad incandescenza possa resistere a lungo. Il problema può essere risolto solo mediante l’impiego di una robusta spirale o di una piattina metallica collocata dinanzi all’iniettore ed arroventata dall’esterno all’avviamento mediante l’uso delle solite pile a secco.  Forma, dimensioni e collocazione dell’accenditore sono elementi che ogni costruttore deve definire caso per caso in base alle sue capacità costruttive ed alle condizioni di funzionamento del razzo. Perciò nello schema allegato l’impianto di accensione risulta omesso.  Ritengo comunque che l’impiego della piattina al ni-cromo sia preferibile all’uso di una spirale. Infatti, mentre l’applicazione di questa risulta laboriosa, dovendo utilizzare una normale candelina modificata (cfr. in L?ALA – V, n. 2 “Lo schema di trasformazione di una candela in una glow plug”) la piattina può essere direttamente bullonata al corpo del combustore con l’interposizione o meno (massa) di adatte guarnizioni isolanti e incombustibili (amianto, mica).  Inoltre la sua compatta sezione se richiede un più elevato consumo di corrente per il riscaldamento iniziale offre in seguito una maggiore resistenza alle notevoli sollecitazioni termiche d’esercizio.  Esaminate in dettaglio tutte le singole parti dell’ “Asteroide” dovrei aggiungere, per completare la trattazione, anche le linee generali del modello volante destinato a riceverlo: ma poiché ciò esulerebbe dallo scopo prefisso ( che era unicamente quello di illustrare un nuovo tipo di micro-reattore) e sottrarrebbe un non indifferente spazio stampabile, mi limiterò a semplici suggerimenti.
Per il volo libero l’eleganza di linee ed il carattere, diciamo così, “futuristico” del tutt’ala “NOR.PA. 49”, opportunamente adattato (cfr. L’ALA – V, n.6) si prestano egregiamente alla valorizzazione dell’ “Asteroide”; per il volo circolare telecontrollato il tipo “Vampiro” (progetto L. Spinelli – L’ALA – III, n. 19), presenta indiscusse doti di preferenza dal punto di vista della stabilità e della maneggevolezza.
Nel montaggio del reattore sull’aereo, oltre allo schermaggio della fusoliera (effettuato con le solite lastrine metalliche distanziate) è bene curare anche il raffreddamento del motore. Le prese d’aria alle radici alari del “NOR.PA. 49” servono ottimamente allo scopo; per il “Vampiro” una serie di persiane disposte a raggiera all'altezza del combustore potrà assicurare una sufficiente ventilazione. Per maggiori precauzioni sarà forse opportuno collocare tra il serbatoio e il combustore un diaframma coibente ed incombustibile, nonché prolungare fino all’esterno del ventre di fusoliera il tubetto di collegamento degli organi predetti, in modo che sia lambito dal vento della corsa ed infine alettare il più fittamente possibile il tratto d’iniettore esterno al combustore, così da neutralizzare al massimo grado le conduzioni di calore verso la sorgente del liquido propellente.  Si sottolinea a tale scopo la fortunata combinazione dell’assenza di ogni pompa meccanica (metallica) comunemente intesa, in quanto l’aria stagnante è per sua stessa natura cattiva conduttrice di calore. Con l’adozione della forma cilindrica in luogo della sferica per il serbatoio è giocoforza scindere in due distinti recipienti il serbatoio munito il primo di rubinetto e di riduttore il secondo: in tal caso per conseguire il massimo rendimento volumetrico è consigliabile adottare recipienti con diametro pari all’altezza, come dimostrato dal calcolo differenziale.
Trattare l’argomento del consumo, della spinta e del rendimento o tentare una comparazione con gli altri tipi di reattori sarebbe puramente accademico: l’essenziale è costruire un congegtno che funzioni, i perfezionamenti verranno in seguito.
Ed ora, per concludere questa fin troppo lunga esposizione, desidero ribadire un “chiodo” che in verità è stato da tempo piantato da altri. Che L’ALA è decisamente benemerita nel campo della pubblicazione di idee motoristiche d’avanguardia e basti citare – oltre alle varie macchine che ho in precedenza nominate e descritte per ragioni di critica o di comparazione – il motoreattore inglese tipo “C.C.” (II, n. 1), il pulsoreattore F. Mercenaro (IV, n. 10), Il turboreattore C.F. 3, il pulsoreattore Anisimow (VI, n. 20), la cadenza di presentazione è però a mio avviso troppo lenta: sino alla data attuale – statisticamente parlando – è di appena una nuova proposta ogni dieci mesi circa! Eppure è certo che il lavoro ferve nel campo di micro-reattori: perché dunque i vari progettisti non rendono note le loro costruzioni, le loro idee e – perché no?! – i loro insuccessi? Uno scambio vicendevole di idee di informazioni varie, di risultati conseguiti, sia positivi che negativi, può essere di reciproca utilità, dissipando dubbi e potendo far condurre a buon fine costruzioni già pericolanti, peraltro meritevoli di successo, nonché impedire che altri battano strade già dimostratesi errate, evitando inutili dispendii di tempo e di danaro.
Con la pubblicazione dell’ “Asteroide” – ed eventualmente altre mie idee che sono attualmente ancora allo stato embrionale – intendo per primo dare praticamente l’esempio per una più vasta collaborazione collettiva “a distanza” sulla materia.  L’ “aeromodellismo sperimentale” propugnato da G. Fabbi esattamente cinque anni fa (cfr. l’articolo “Uscire di minorità”, apparso su questo periodico, II, n. 4) deve divenire una realtà altrimenti – in un’era aeronauticamente rivoluzionaria come la presente – l’aeromodellismo “fossilizzandosi” sui consueti schemi perderà fatalmente a poco a poco mordente e proseliti.
Ho forse detto ciò che non si deve dire?

Renato Vesco

Ringrazio Giancarlo D'Alessandro (CISU) per avermi fornito il materiale da cui è tratto questo articolo.

www.cisu.org