martedì 2 ottobre 2012

Questo articolo comparve sulla Rivista Aeronautica nel 1957 ed è una bella analisi dei sistemi di propulsione e dei carburanti che all'epoca erano considerati futuribili.
 La seconda parte è dedicata alle previsioni sull' utilizzo dell'energia atomica come fonte propulsiva per aerei. Vesco aveva già teorizzato che veicoli spaziali anglo-canadesi avessero viaggiato nello spazio prossimo alla Terra sfruttando proprio questo tipo di energia, ma stranamente tra le righe di questo scritto sembra trasparire qualche fondamentale interrogativo sulla reale necessità e possibilità di utilizzazione di un sistema energetico che a d alcuni pregi contrappone parecchi difetti.
Oggi sappiamo che l'energia atomica prodotta per “fissione” dell'atomo è una vera iattura e sappiamo anche che fino al momento in cui qualcuno non troverà il modo di utilizzare l'energia prodotta per “fusione” sarà bene che l'umanità utilizzi questa forma di energia con estrema circospezione.
Gli anni '50 del secolo scorso furono un periodo estremamente propositivo in tutti settori della scienza e della tecnica, una breve finestra temporale in cui l'entusiasmo per una scienza che prometteva un futuro molto prossimo fatto di agi e tranquillità aveva contagiato la società civile, che per pochi anni fece finta di non vedere quale uso facevano i militari di quelle innovazioni che erano spacciate come progresso.  Ben presto ci pensarono i problemi creati dai continui eperimenti nucleari in atmosfera con ordigni sempre più apocalitici e le vicende della Guerra Fredda a riportare tutti con i piedi a terra. E l'illusione finì.

RR


    ALCUNE IDEE SULL'AVVENIRE DELLA PROPULSIONE AEREA

                                                        RENATO VESCO

Nel quarantennio compreso fra il volo di Kitty Hawk e l'avvento dei primi aeroplani germanici a turbina il volo meccanico, basatosi prevalentemente sul glorioso motoelica, ha letteralmente divorato fiumi di pregiata benzina.
Volatilità, peso specifico ( e quindi potere calorifico) e potere indetonante hanno caratterizzato volta a volta nel tempo la benzina “migliore” in relazione alle prestazioni offerte dal costante progresso motoristico.
Oggigiorno l'aerofaga propulsione a reazione – pur avendo soppiantato la benzina col più denso kerosene – sta richiamando in onore il ”potere calorifico” come indice determinante poiché esso a parità di peso e di volume trasportati condiziona l'autonomia di volo. Le macchine volanti a reazione in fatto di autonomia non possono competere con le loro consorelle propulse dalla più anziana ma più economica elica e il divario notoriamente s'aggrava col crescere della velocità di volo specie se questo in endoreazione (o propulsione a razzo).
Tuttavia, poiché entro gli snelli, profilatissimi moderni è assai è assai più facile sistemare un grande peso che non un ingombro o gran volume , il “potere calorifico” disgiunto da una appropriata densità non risolverebbe affatto lo spinoso problema. L'idrogeno infatti, con le sue 28,800 Kcal/kg sarebbe un combustibile davvero “ideale” se non annoverasse tra i suoi pochi ma grandissimi attributi negativi anche una densità straordinariamente modesta.
Il peso specifico del kerosene americano (Pool burning oil) oscilla fra i 0,8 e i 0,81 Kg/dmc. Combustibili più pesanti ossia più densi come, ad esempio, il gasolio (p.s. = 0,85) o gli olii diesel (p.s. = 0,87 a 0,91) o il mazout (p.s. = 0,973) non presentano vantaggi talmente determinanti da consigliarne l'adozione e inoltre, come inevitabile rovescio della medaglia, per la prevalenza del carbonio nella loro molecola rendono difficoltoso l'avviamento, difficili le “riprese” in volo e imperfetta la miscelazione con l'aria, producendo delle pericolose incrostazioni sulle pareti dei combustori.
Fra i carboni fossili polverizzati il litantrace (p.s. = 1,2 a 1,5), con le sue 11,000 Kcal/kg e le abbondanti ceneri, in linea di massima non si sottrae alle precedenti valutazioni negative pur consentendo una riduzione volumetrica del 43% rispetto al kerosene, ovviamente al prezzo di una notevole complicazione costruttiva e, forse, di un altrettanto notevole incremento ponderale e volumetrico dell'apparato di carburazione dell'aria.
Poiché la questione del combustibile (o del propellente) è basilare per l'avvenire della propulsione aerea, fatalmente, al massimo nel giro di qualche lustro, anche il kerosene dovrà cedere definitivamente il campo a qualche sostanza termogena più attiva o suscettibile di apportare - a parità di prestazioni – delle semplificazioni costruttive nei complessi motoristici.
Fra i propellenti i monopropellenti o monoergoli l'idrazina, con densità di poco superiore a quella dell'acqua, sviluppa vapori fortemente idrogenati e quindi assai favorevoli dal punto di vista del “peso molecolare” e del “getto” ma le temperature in ciclo non superano sfortunatamente i 600°C.
Sebbene no sia da escludersi che si possa prima o poi, mettere praticamente a punto un sistema di post-surriscaldamento sfruttante delle reazioni fortemente esotermiche in seno al vapore prodotto (qualcosa d'affine, cioè, alla “post-combustione” degli ordinari turbogetti) onde accrescere l'effetto propulsivo, più promettente sembrerebbe - almeno in teoria ed astraendo dala costo e dalle difficoltà di conservazione e d'impiego – il nitrometano. Che gode inoltre della proprietà di poter essere diluito e combusto a volontà, in caso d'emergenza, anche nell'aria atmosferica a guisa di carburante ordinario, ovviamente a prezzo di un minore “rendimento termodinamico” globale per l'eccesso di ossigeno e per il molto azoto partecipanti alla combustione.
Pompabile con facilità e sicurezza (semprechè il circuito d'alimentazione sia assolutamente esente da parti direttamente lubrificate o confezionate con delle sostanze organiche) e discretamente stabile per periodi d'immaagazinamento di normale durata, il nitrometano però l'inconveniente di svolgere continuamente dei vapori nitrosi i quali, in presenza di acqua o umidità atmosferica, intaccano gravemente le parti metalliche con le quali vengono a contatto. Inoltre la sua densità, pur essendo superiore a quella dell'idrazina, è ancora troppo bassa per competere economicamente con gli attuali combustibili-standard.
Bisognerà dunque trovare qualcosa di gran lunga assai più “concentrato” valutando le chilocalorie in funzione del volume e non del peso, anche se quel “qualcosa” sarà talmente denso da essere semifluido, pastoso o addirittura solido.
Secondo gli esperti della “Esso Export Corporation”, i carburanti alla paraffina potrebbero rispondere egregiamente allo scopo. In un rapporto compilato (nel 1950) dall'ing. A.R. Ogston si legge infattiche la paraffina non è solo più sicura all'uso della benzina e degli altri carburanti oggi impiegati dai motori a reazione, perchè non è soggetta a perdite per evaporazione nel volo ad alta quota, ma aumenta anche il numero delle miglia percorse per gallone consumato.
La solida paraffina, risultante della miscelazione stabile di vari idrocarburi aciclici (dall'esodecano all'esacontano), ha un aspetto ceroso, fonde fra gli 42 e gli 80°C e, avendo un peso specifico oscillante fra i 0,8 e i 0,9 Kg/dmc, risulta leggermente più densa del liquido kerosene.
A differenza del nitrometano, la paraffina per il suo esclusivo contenuto in carbonio ed idrogeno è un combustibile a molecola integralmente ossidabile. Il vantaggio in tal caso – pur non essendo rilevante dal punto di vista della densità – esiste e potrebbe venire ulteriormente accresciuto utilizzando delle paraffine opportunamente “trattate”.
Speciali sostanze combustibili, metalliche o metalloidiche, finemente polverizzate potrebbero infatti essere mantenute stabilmente in sospensione entro un mezzo liquido o semifluido costituendo una massa plastificata trafilabile a pressione ovvero liquefattibile con moderatoapporto esterno preventivo di calore avanti la sua adduzione agli iniettori delle camere di combustione,.
La paraffina potrebbe già essere considerata un ottimo supporto o mezzo disperdente per la conglomerazione, l'omogeneizzazione e la plastificazione dei combustibili solidi polverizzati.
Paraffine chimicamente pre-trattate – come ad esempio, le paraffine clorate e le paraffine nitrate, suscettibili di catalizzare il fenomeno della combustione – potrebbero inoltre integrare lo scarso potere ossidante (volumetrico dell'aria stratosferica innalzando le temperature massime dei cicli motori.
Tuttavia è, verosimilmente, nel settore dei “combustibili sintetici” che il reattore aeronautico di domani troverà la sua potenziale sorgente d'energia. E. Brandimarte (cfr. Gettochimica o chimica della propulsione a getto – Riv. Aeron. N 12, 1954) si è brevemente soffermato sui pregi dell'idruro doppio di boro e alluminio. Altri possibili combustibili sintetici (liquidi) attualmente noti ( seppure prodotti per il momento su scala puramente sperimentale in laboratorio) sono l'idruro di boro o borano, l'idruro di silicio o silano, il diboroidruro o diborano.
Fra i solidi sono notevoli le miscele alluminio-magnesiche (“polverino”), il sesquiossido di alluminio, gli ossidi di boro e gli ossidi di berillio, assai calorifici tutti ma non esenti da pecche di vario genere fra le quali primeggia la produzione di gas polverulenti contenenti dei prodotti fortemente erosivi.
I dati pratici sui combustibili sintetici sono piuttosto scarsi e,  perchè studiati esclusivamente per l'impiego sui razzi, non contemplano l'aria come comburente ma solo l'ossigeno puro.
La differenza fra le prestazioni dei due comburenti è fortissima per la presenza dell'aria e della forte percentuale di azoto inerte (75,15% in peso). Tuttavia già si possono tentare degli utili confronti.
Considerando separatamente i componenti elementari dei vari composti elencati abbiamo che;
  • l'alluminio combinandosi con l'ossigeno sviluppa 3705 kcal/kg;
  • il calcio (combusto però nel fluoro) ne dà 3700;
  • il magnesio sviluppa 3515 kcal/kg in presenza di H2O2 e 3615 nell'ossigeno puro;
  • il silicio reagendo con l'ossigeno produce 3150 kcal/kg.
(Si tenga presente che la miscela benzina-ossigeno liquido non ne darebbe che 2365 per chilogrammo di materia combusta).Temperature, calorie di combustione e velocità di efflusso del “getto” ancor più elevate delle precedenti sarebbero fornite dalla combustione dell'ossigeno liquido e del berillio (4660 kcal/kg) o del litio (4180 kcal/kg) o del boro (3840 kcal/kg), elementi purtroppo industrialmente rari o troppo costosi per un vasto impiego motoristico.
Indubbiamente per il loro alto peso pecifico ( che va dagli 1,56-1,75-1,80-1,84 kg/dmc del calcio, del magnesio, del silicio e del berillio ai 2,55-2,68 kg/dmc dell'alluminio e del boro) i combustibili solidi sono oltremodo seducenti anche dal punto di vista del problema della “concentrazione della potenza).
Sfortunatamente si conviene da tutti che la gassificazione integrale dei metalli e dei metalloidi nel corso di una combustione molto rapida non sia assolutamente possibile. Miscelando gli elementi polverizzati con dei composti volatili e infiammabili l cose migliorano alquanto.
Gli esperti americani del N.A.C.A. Nel periodo 1948/1950 hanno condotto una impegnativa serie di esperienze sulla combustione dell'alluminio puro trafilato (filo d'alluminio) e sulle miscele fluide nafta-alluminio polverizzato. Anticipazioni teoriche prevedono anche dei supporti paraffinici ma lo scrivente è invece di tutt'altro avviso.
Fra tutti gli elementi considerati il calcio è il solo combustibile potenziale nel quale ad una intensa attitudine calorigena si accompagni l'importantissima proprietà di generare dei fumi esenti da prodotti abrasivi. Tuttavia esso s'accende e brucia nell'aria solo se viene preventivamente portato ad una elevatissima temperatura d'ignizione, compito questo che potrebbe essere agevolmente assolto da altre polveri metalliche, addizionate al combustibile principale, le quali permetterbbero inoltre di operare anche con i ridotti “rapporti di compressione” assoluti del volo in alta quota.
In quantità minore il silicio potrebbe integrare l'azione termogena del calcio mentre il magnesio e l'alluminio, presenti anch'essi in quantità minori, attiverebbero la combustione sino al gradiente voluto per la reazione fortemente esotermica del Si (1500°C) e del Ca (3000°C). In particolare la presenza del magnesio – con la produzione di magnesia usta, talco e composti similari – contraterebbe e neutralizzerebbe la formazione e l'azione erosiva dell'ossido di alluminio e del carburo di silicio.
Relativamente al supporto organico lo scrivente pensa che gli esperti trascurino, a torto, i prodotti cellulosici e, particolarmente i “colloidi”.
I colloidi sono, notoriamente, dei prodotti nitrocellulosici, infiammabilissimi, molto volatili, liquidi ma molto densi, vischiosima facilmente fluidificabili se miscelati con liquidi etero-alcoolici. Di basso costo, di facile confezione, disponibili su vasta scala perchè già utilizzati in numerosi processi industriali (fabbricazione del celluloide, della pirossilina e di vari esplosivi, del raion, di alcuni diffusi tipi di vernice ecc.) essi, nell'incessante incedere della tecnica motoristica e della gettochimica , finiranno molto probabilmente per avere una parte determinante nell'approntamento di nuovi combustibili sintetici pouchè pur conservando all'incirca il potere calorifico della paraffina, risultano immuni dagli inconvenienti propri ai supporti cerosi, gommosi e paraoleosi.
Sarebbe eufemistico il voler fissare dei limiti cronologici per l'avvento e la sostituzione dei vari tipi di carburante sin qui considerati poiché la presente indagine prescinde necessariamente (o meglio, forzatamente) da quanto può essere già stato elaborato o si va elaborando nel discretissimo “top secret” dei grandi laboratori aeronautici militari stranieri. A parte inoltre ogni cponsiderazione circa la coesistenza di due o più combustibili operanti in campi e per scopi diversi, tuttavia è giocoforza l'ammettere sin d'ora la caducità dell'eventuale predominio d'ogni singolo composto specie a cagione del fatto che molto impropriamente si parla oggi di combustioni aeromotoristiche mentre Prescindendo dalle ancora sin troppo nebulose ed ipotetiche forme d'energia elettrodinamica) più esatto sarebbe il dire che la propulsione aerea, con o senza captazione atmosferica, si avvale di una massa propulsiva opportunamente riscaldata ossia di una forma di energia genericamente termoergolica,
Conosciamo infatti tre diversi metodi per riscaldare un fluido attivo e cioè:

1° bruciando in esso un adatto combustibile (ciclo endotermico “aperto”);
2° riscaldandolo mediante una combustione separata (ciclo esotermico generalmente “chiuso”);
riscaldandolo mediante una sorgente di calore interna ma non influenzante la composizione chimica del fluido attivo.
Il primo caso è quello sin qui universalmente adottato in aviazione. Il secondo sistema è ancora in auge in molti impianti fissi nella trazione ferroviaria non elettrificata e nella propulsione marittima a turbina. Il terzo caso può essere praticamente materializzato da una resistenza elettrica o da una massa radioattiva isolate ed immerse in seno al fluido attivo che può indifferentemente operare in base a cicli aperti o chiusi.
Aeronauticamente o, meglio, astronauticamente il procedimento della propulsione sd energia atomica”sembra” essere ancora in fase di pura elaborazione teorico-sperimentale. Tuttavia – astraendo dai contributi ( incerti perchè volutamente ammantati di mistero o ricalcanti schemi notissimi da considerarsi, quindi, superati) della scienza americana e sovietica – si sa di positivo che sin dal 1949 degli esperti britannici di chiara fama hanno suddiviso il campo d'indagine in sei differenti gruppi così designati (cfr. L.R. Shepherd e A.V. Cleaver – The Atomic Rocket - “Journal of the British Interplanetaru Society” - london 1949):

1° motori a disintegrazione mediante particelle accelerate artificialmente;
2° motori a disintegrazione mediante neutroni sottratti da una “pila” atomica;
3° motori a “fissione” uranica ottenuta con neutroni lenti;
4° motori a “fissione” uranica ottenuta con neutroni rapidi;
5° motori a “fusione” termonucleare al trizio (energia “H”);
motori a disintegrazione di radioelementi (“propulsione radioergolica”).
Alcuni di tali gruppi – e segnatamente il 5° - si riferiscono a delle possibilità di realizzazione da collocare in un lontanissimo futuro. Il 6° gruppo comprende invece una serie di congegni che rientrano già nelle possibilità tecniche odierne.
Gli stessi autori sottolineano il fatto che lo schema più promettente sembra quello del razzo nucleotermico a radioergolo, ossia quel tipo di propulsore in cui dei radioelementi artificiali a corto o a medio “periodo” riscaldano un fluido propulsivo ejettato a grande velocità.
Un propulsore a radioergolo deltipo ad endoreazione (razzo) consta essenzialmente di una camera tubolare di riscaldo (“fornace nucleoergolica”) le cui pareti, in metallo resistente alle elevate temperature (ed eventualmente per “sweat cooling” ossia per trasudamento poroso), vengono rivestite internamente con un sottile strato di radioelemento.
L'agente propulsivo (acqua, elio, idrogeno, vapori di mercurio, ecc.) - dopo avere percorso l'intercapedine refrigerante – viene iniettato a monte della “fornace” ove – per l'azione del calore sviluppato dalla disintegrazione lenta della sostanza radioattiva – vaporizza se è liquido) e si surriscalda enormemente ancor prima di raggiungere l'ugello di scarico (“effusore”) parimenti rivestito di radioelemento.
L'espansione del vapore o del gas – grazie a quest'ultima introduzione di calore – avviene con un aòto rendimento tanto da legittimare l'ipotesi che con temperature del propulsivo aggirantisi sui 4500°K le velocità di efflusso (nel vuoto) possono raggiungere i 4000-4500 metri/sec.
Ovviamente si possono ideare ed applicare schemi più semplici o più complessi in relazione al tipo di radioelemento impiegato ed alla sua ubicazione nella “fornace”, raggruppandolo, ad esempio in una massa compatta, frazionandolo in barre, tubi, lamine multiple, incapsulandolo in spugne metalliche, sciogliendolo in un adatto solvente, ecc.
“...Il grande vantaggio presentato dal sistema radioergolico consiste nel fatto che non è necessario sistemare a bordo del veicolo un pesantissimo “reattore nucleare”... il radioergolo non è che un sottoprodotto delle “pile atomiche” le quali, d'altra parte, pur assolvendo la loro funzione di fornire dell'energia industriale, potrebbero provvedere nel caso del “Bario 139” a caricare ogni 5 ore un nuovo congegno....” (Shepherd e Cleaver, op. cit.)
Le qualità positive e negative della soluzione radioergolica si possono sintetizzare:



disponibilità di potenze specifiche considerevoli, ossia non meno di 125 kw/grammo per il “fluoro 20” il cui “periodo” ( o tempoi in cui l'irradiazione dell'elemento si riduce del 50%è di 72 secondi; 130 kw/grammo per il “Bario 139” con p. = 1 h.30'; 1,5 kw/grammo per il “Fosforo 32” avente un p. = 14 giorni;
eliminazione pressochè totale della protezione antiradiazioni nocive per alcuni radioelementi le cui emanazioni di “raggi gamma” sono nulle o trascurabili;



impossibilità di controllo della potenza sviluppata che diminuisce in relazione al tempo. Il che non vieta però di inserire nel circuito del propulsivo una camera di “post-combustione” o di “post-surriscaldamento” entro la quale iniettare delle materie combustibili pirogene o comunque termogene che accrescano l'effetto termocinetico del getto “compensando” - con regolazione comandata – il progressivo decadimento energetico del radioelemento. Si tratterebbe cioè di fondere il razzo radioergolico al razzo a combustibile molecolare pur beneficiando della possibilità di escludere , a comando, l'uno o l'altro dei dispositivi. Naturalmente l'uso di radioelementi a nulla o trascurabile radiazione “gamma” potrebbe estendere il seducente concetto anche ai propulsori a captazione atmosferica più o meno integrale;



4° impossibilità di evacuare l'energia liberata durante le pause di funzionamento del propulsore. Difficoltà che potrebbe essere senz'altro aggirata – volendo effettuare il volo librato ovvero stazionare al suolo senza danneggiare l'aeromobile o fondere l'apparato propulsivo – mediante la continua ejezione di propulsivo (non necessariamente liquido e tratto dalla riserva di bordo) il quale agirebbe in tal caso esclusivamente da refrigerante.
Basterebbe infatti ejettare dell'aria atmosferica in direzione opposta a quella dell'ordinario “getto” motopropulsivo (mantenuto a mezza potenza)per originare una “spinta” antagonista neutralizzante la precedente , unicamente a spese dell'energia del radioelemento comunque disperdentesi senza possibilità di lavoro attivo.



Altra possibilità concettuale, consisterebbe, nella deviazione (bipartita e simmetrica) del “getto” propulsivo in direzione ortogonale. I gas potrebbero inoltre agire su dei turbomotori di recupero parziale producenti dell'energia elettrica per i vari usi di bordo.
Comunque anche in questo speciale settore la modernissima tecnica della deviazione meccanica del “getto” e dell'inversione della “spinta” potrà forse dire una parola decisiva.
Gli schemi per lo sfruttamento aeronautico dell'energia nucleare che vanno oggi per la maggiore contemplano l'adozione di una “pila uranica” protetta da schermi pesantissimi e refrigerata da un fluido radioattivamente inerte il quale muove delle turbine in ciclo chiuso azionanti delle eliche aeree ovvero attraverso ad un vasto scambiatore di calore innalza la temperatura dell'aria aspirata, compressa ed ejettata secondo il ben noto sistema turboreattivo.
Per il momento solo il sottomarino americano “Nautilus” si avvale, a titolo sperimentale, di un motore del genere. Esso nell'autunno del 1955 ha compiuto una crociera fra New London (Connecticut, U.S.A.) e San Juan de Portorico navigando per tutte le 1500 miglia in immersione (84 ore consecutive ad una velocità media di 18,4 nodi). Il prototipo dei suoi motori prima di essere installato a bordo era stato mantenuto in moto quasi ininterrottamente per 2 anni e mezzo senza richiedere alcun ulteriore rifornimento dopo la carica iniziale d'uranio:



Tutto ciò può essere giustamente considerato un vanto per l'ingegneria navale. Tuttavia le esigenze del volo sono molteplici e versatili le sue possibilità. Vediamone in breve qualcuna direttamente riferibile ai problemi in discussione.
Nessun pilota d'aeroplano si sognerebbe mai di caricare sul suo velivolo – tecnica, per assurdo, permettendolo – un quantitativo di benzina tale da consentirgli un'autonomia venti o trenta volte circumterrestre. Il ventilato allestimento di aeroplani ad energia atomica capaci di tenersi in volo per dei mesi o degli anni rappresenta dunque una incontrovertibile possibilità pratica ma anche un nonsenso operativo ed economico perchè, coperto in linea retta, tanto per esemplificare, un meridiano, l'aeromobile perverrebbe esattamente sulla verticale della base di partenza e, qualora si trattasse di un bombardiere , se avesse “sganciato” lungo l'immensa rotta, egli dovrebbe egualmente atterrare per l'imbarco del nuovo carico offensivo di caduta. Solo le operazioni marginali – come la ricognizione aerea strategica continuativa (“satelliti artificiali a parte) e la sorveglianza costiera - potrebbero avvantaggiarsi utilmente della nuova formula.
Notare inoltre che la convenzione termica (refuso, in realtà si tratta di CONVEZIONE termica – RR) mantenuta dalla lenta disintegrazione dell'uranio non consente praticamente la propulsione a getto a causa delle limitazioni imposte dalle dimensioni, dal peso e dal rendimento interno dello scambiatore di calore. In ogni caso l'adattamento reattivo (“propulsione nucleoergolica”) anche se possibile più in la nel tempo in una fase di sviluppo tecnico più avanzata, non potrà verosimilmente concedere velocità marcatamente supersoniche per l'e ccessivo sviluppo trasversale oppure in lunghezza imposto dal reattore e quindi al velivolo che lo rinserra. Modelli di velivoli propulsi da motrici a vapore volarono effettivamente verso la fine del secolo scorso. Tuttavia l'affermazione del volo meccanico si ebbe solo con la messa a punto dei primo motori endotermici e ciò era implicito nella natura stessa del nuovo mezzo di trasporto che richiedeva dei propulsori estremamente leggeri e compatti.



Il problema della “concentrazione della potenza” non potrà non riproporsi nuovamente anche nel campo della propulsione atomica riferendosi non già al “combustibile”, che ha una resa d'energia pressochè illimitata, ma alle apparecchiature che debbono estrinsecarla ed utilizzarla propulsivamente le quali, per risultare realmente efficienti, non dovranno superare certi limiti ponderali e volumetrici oltyre i quali la proposta formula “ idrovolante plurimotore” rappresenterà un vicolo cieco e il volo a propulsione nucleare non potrà evolvere verso forme e tonnellaggi d'uso realmente universale.
Nella “propulsione radioergolica” possiamo intravvedere un primo, razionale correttivo a tale stato di cose: al “pieno di carburante” per coprire un determinato percorso potremo sostituire la quantità di “radioergolo” ad equivalente resa globale di energia termica. All'autonomia oraia concessa datale “pieno”, il “periodo”Q di radiazione ad equivalente durata autonomistica (definita in funzione della velocità dell'aeromobile lungo la traiettoria). Al “potere calorifico” in kcal/kg, il “potere radiante” in curie/grammo



 
Nell'era del volo radioergolico gli aerodromi o,in senso più lato, i punti di partenza e di arrivo dovranno naturalmente sorgere in prossimità di centrali atomiche dalle quali prelevare il tipo di radioelemento artificiale adatto alla lunghezza del percorso da coprire il che, probabilmente e per molto tempo, non sarà né rapido né comodo.
Problemi di caricamento del radioergolo, di manutenzione, di controllo, di prevenzione infortunistica (in volo e al suolo): la “propulsione radioergolica” è una rosa in boccio che cela inviluppate nel suo tenero stelo diverse acute spine ma è anche un promettentissimo sistema energetico oltre che un campo d'indagine ancora pressochè vergine e quindi suscettibile di nostri utili contributi teorici. 

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