Questo articolo venne pubblicato sul
periodico L'ALA n.ro 16 del 15 novembre 1951.
In questo scritto Vesco analizza uno
dei concetti base dei DISCHI VOLANTI - la capacità di decollo
verticale, già prerogativa dell'elicottero, grazie alla portanza
reattiva - applicato ai velivoli del futuro: i cosiddetti
CONVERTIPLANI* (anche se Vesco usa il sostantivo CONVERTOplano)
L'incipit dell'articolo è dedicato
alle conclusioni di un altro opinionista de L'ALA, G. Faranda, che
chiude il suo articolo sul tema con una nota a metà tra il
pessimista e l'ironico, bocciando in pratica questo, che per l'epoca
era un modo assolutamente originale di intendere l'aeroplano, ovvero,
quello di riunire i pregi dell'elicottero (il decollo verticale e il
volo a punto fisso o hovering) con le velocità dell'aeroplano
(impossibili per qualunque tipo di elicottero).
In più l'autore genovese introduce,
trattandolo a grandi linee, il concetto di portanza reattiva ,
descrivendo ed analizzando brevemente anche alcuni dei suoi
esperimenti con piccoli modelli di propulsori “atipici”,
terminando con un temerario accenno ai DISCHI VOLANTI come esempio
di velivoli APLANI.
RR
* Il convertiplano è un tipo
di velivolo
dotato normalmente di due motori
(anche se vi sono stati modelli sperimentali che ne utilizzavano
quattro) basculanti, cioè in grado di ruotare attorno all'asse
orizzontale delle ali.
Questo permette di generare una spinta verso l'alto per decollare
come un elicottero,
o in alternativa di funzionare come le eliche
traenti di un aereo.
da Wikipedia
Due moderni convertiplani:
Due moderni convertiplani:
NOTA SUI CONVERTOPLANI E SUGLI AEROMOBILI APLANI
di Renato Vesco
G. Faranda nel secondo numero dello
scorso aprile, ha trattato l'argomento del Convertoplano da un “suo”
personale punto di vista (quello dell'aerodinamica e del rendimento,
per intenderci) rigorosamente esatto, dimostrando però di non avere
compreso i reali scopi della costruzione.
Infatti, a conclusione dell'articolo
afferma testualmente: “Quindi i convertoplani, per quanto
pittoreschi possano essere e per quanto solletichino il desiderio di
novità, non mi sembrano particolarmente realizzabili, in quanto non
farebbero altro che peggiorare le caratteristiche dell'elicottero
classico diminuendone ancora il già scarso rendimento”. Parole
che sono, del resto, logico corollario all'introduzione nella
quale dichiara: “Invece di affrontare le vere cause dei difetti
riscontrati negli elicotteri, con questi convertoplani si vorrebbero
aggirare le difficoltà mediante sistemi appariscenti ma che
mi sembrano poco efficaci o addirittura controproducenti”.
In realtà i vari progettisti che si
dedicano allo studio del convertoplano non intendono affatto
perfezionare le aerodine ad ali rotanti, ma tentano di mettere a
punto una macchina che rinserri nella sua concezione
l'importantissima facoltà di trasformarsi da aeroplano in elicottero
e viceversa in determinate fasi del volo(decollo, aerostazionamento,
atterraggio). Non mi dilungo sulla definizione del convertoplano e
sulle sue caratteristiche, perchè su questo periodico (VI, n. 23)
l'argomento è stato trattato brevemente ma con molta chiarezza da M.
Vico.
L'aeroplano e l'elicottero “classici”
continueranno perciò separatamente la loro evoluzione verso forme e
rendimenti migliori e il convertoplano potrà beneficiarne
indirettamente come terzo e distinto tipo di macchina volante,
sebbene io sia del parere che – per il fatto che le alte velocità
proprie degli aerei a reazione siano negate alle aerodine ad ali
rotanti – il convertoplano debba, per forza logica di cose,
svilupparsi in base ad un ben diverso e davvero rivoluzionario
indirizzo, come esporrò in seguito.
I citati autori si sono limitati ad una
esposizione e ad una critica concettuali.
Ritengo perciò opportuno esporre in
sintesi le varie soluzioni sinora proposte.
L'idea del decollo e atterraggio
verticali risale ai primordi dell'aviazione: tale, ad esempio,
l'aspirazione di Bleriot quando affermava che l'aeroplano
dell'avvenire sarebbe stato “l'aereo-paracadute” nome curioso ma
significativo.
Avendo eseguito diligenti ricerche
sull'argomento, credo però di poter affermare con sicurezza che il
progenitore degli attuali convertoplani americani sia l'
“aeroplano-elicottero Marmonier ad eliche orientabili”, descritto
con dovizia di particolari e di figure dal suo ideatore, un tecnico
francese, sulla nostra “Rivista Aeronautica” nel luglio del 1931.
I progetti recenti – opera
generalmente di privati inventori americani spronati
dall'incoraggiamento ufficiale del N.A.C.A. - seguono in parte la
falsariga del progetto precedente ed in parte copiano lo schema del
noto “elicoplano”, adeguandoli alle ultime conquiste della
tecnica aeronautica.
Si registrano così a tutt'oggi ben
otto diversi tipi di convertoplani e cioè:
- progetto Isacco: ala volante con elica trattiva normale ed un rotore sostentatorio a due pale, una delle quali – durante la traslazione orizzontale – si ritrae telescopicamente nell'altra disposta longitudinalmente alla fusoliera;
- progetto Wilford: ala volante con rotore monopala che in volo orizzontale si blocca lungo la fusoliera;
- progetto Herrick, presidente della Convertoplane Corporation di New York: biplano con ala inferiore fissa di piccolo allungamento e ridotta superficie ed ala superiore a profilo simmetrico, imperniata al centro (con blocco comando) e munita agli estremi di due pulsoreattori a getti contrapposti per imprima alla velatura una rotazione portante al decollo e all'atterraggio. Trazione orizzontale assicurata da una normale elica propulsiva situata fra i travi di coda. Le sue prime esperienze di volo son di poco posteriori alla memoria del Marmonier (6 novembre 1931) tanto che l'Herrick è considerato negli USA come il “padre del convertoplano”. Un secondo tipo, l' “HV-2A” volò nel 1937. Attualmente è in programma l' “HC-6D” tipo ulteriormente perfezionato, derivato dai precedenti;
- progetto Flettner: aereo classico munito di quattro eliche portanti imperniate alle estremità di due supporti a sbalzo fissati rigidamente al centro di ogni semiala e paralleli alla fusoliera , di lunghezza tale che il flusso d'aria delle quattro eliche non disturbi la portanza della velatura normale e non interferisca durante il volo librato. Nel volo orizzontale le eliche s'allineano all'asse dei rispettivi supporti;
- progetto Zimmermann: ala volante di piccolissimo allungamento, munita di due gondole motrici, profilatissime e prolungate al di là del bordo d'entrata dell'ala, azionanti grandi eliche quadripale. Decollo, atterraggio e traslazione orizzontale si effettuano imprimendo una graduale rotazione di 90° all'asse longitudinale dell'aereo, sino ad avere rispettivamente l'elica in funzione portante oppure traente. Ideato nel 1936, durante la guerra fu costruito a titolo sperimentale dalla Chance Vought (XF5U-1) per conto della Marina Mancano notizie sulla sua ulteriore evoluzione, il che fa supporre che sia stato abbandonato;
- progetto Le Page: aereo di tipo classico con eliche tripala di grande diametro collegate alle estremità alari. Per il volo verticale i rotori si comportano come le velature rotanti degli elicotteri. Alla quota desiderata si consegue la traslazione orizzontale ruotando l'asse di propulsori di 90°. Le eliche sono azionate da motori elettrici, in gondole affusolate, alimentate da turbogeneratori applicati alla radice della cellula;
- proposta americana anonima: aereo di tipo convenzionale con grande rotore bipala, ausiliario, portante, che nel volo orizzontale viene retratto in fusoliera;
- progetto Leonard: aeromobile a due rotori tripala, coassiali, controrotanti, imperniati sull'asse longitudinale della fusoliera – del tipo “a goccia” - immediatamente a poppa della cabina di pilotaggio. Alla partenza ll'aereo si appoggia sulla coda sale verticalmente sino alla quota voluta, dopodichè s'inclina per 910° ed inizia il volo orizzontale. Il tipo Leonard per concezione e funzionamento, si ispira all'elicottero ad alta velocità Focke Wulf a suo tempo incluso nella lista delle nuove armi germaniche. Questo differiva però per il fatto che l'energia motrice era fornita da 3 autoreattori collocati agli estremi di una sola elica tripala, folle sull'asse di fusoliera ed avviata inizialmente mediante un razzo ausiliario. Si assicura che nelle prove questo originale apparecchio diede ottimo saggio della sua maneggevolezza e stabilità. La velocità orizzontale era di circa 800 Km. Orari e quella di salita verticale di 180 Km/h.
Da quanto esposto, risulta chiaramente
che siamo ben lontani dal poter opinare che i convertoplani debbono
servire come “correttivi” alle imperfezioni dell'elicottero. Le
questioni del rendimento aerodinamico o di quello globale passano
senz'altro in seconda linea di fronte ai ben più importanti problemi
della stabilità durante le delicate fasi della variazione d'assetto,
della maneggevolezza, della velocità orizzontale e di salita, della
sicurezza di funzionamento, del carico pagante ed infine delle più o
meno late possibilità meccaniche ed industriali di costruzione.
Il pretendere oggi che una macchina
rivoluzionaria ancora – per così dire – in fasce possa non solo
eguagliare i suoi più anziani competitori a velatura fissa, ma
anche sanare le congenite imperfezioni di quelli a velatura rotante
è tanto assurdo quanto lo sarebbe stato nel 1910 il pretendere che i
gloriosi trabiccoli del tempo valicassero d'un sol balzo l'Oceano o
lottassero contro il “muro del suono”. Il convertoplano Herriot
HC-6D quadriposto, monomotore, pesa in assetto di volo chilogrammi
1750 ed ha una velocità di avanzamento compresa tra 0 ed i 320 Km.
Orari. Francamente, come punto di partenza, mi pare che per la
relativamente modesta potenza di 300 HP non si possa chiedere di più!
Anche per gli aeromobili trasformabili
si preannuncia però in futura crisi, in quanto il loro progressivo
allineamento con i velivoli a reazione li farà partecipi degli
inconvenienti e delle esigenze per la lotta contro la barriera
sonora. E' noto infatti che loe velocità ipersonore sono
praticamente realizzabili a condizione che si approntino propulsori
di portanza e rendimento adeguati. Il punto critico della questione
è invece rappresentato dalla zona transonica, ossia dal passaggio
dalla velocità subsonica alla supersonica, poiché in essa, mentre
le resistenze passive raggiungono valori massimi, la portanza tende a
zero.
La discontinuità della curva di
portanza deve essere in qualche modo eliminata. Si è proposto –
disponendo di un propulsore esuberante – di lanciare l'aereo a
guisa di proiettile fino a oltrepassare il numero di Mach M. 1,2
(circa 1450 Km/h) dopodichè si ripristinano, sebbene su scala
diversa, le normali condizioni di volo; Ma è ovvio che una tale
soluzione comporta una pericolosa assoluta mancanza di controllo
dell'aereo da parte del pilota .
Nei voli sperimentali si penetra nel
campo ipersonoro mediante una decisa picchiata verticale, manovra da
escludere praticamente per la sua eccessiva pericolosità a causa
dell'onda d'urto transonica (instabile e ad alta frequenza
vibratoria) e delle sue deleterie conseguenze sull'equilibrio
dell'aereo e della sua manovrabilità.
Se a ciò si aggiunge il fatto che
l'estrema riduzione delle superfici alari conduce a sempre maggiori
incrementi delle già alte velocità d'atterraggio, la messa a punto
di un particolare tipo di aeromobile a reazione, la cui sostentazione
sia indipendente dalla consueta portanza aerodinamica alare, può
risolvere radicalmente il problema dell'abbinamento dal volo veloce
al volo librato.
Il concetto meccanico di tale tipo di
aerodina - che chiamo genericamente “aeromobile aplano” (senza
ali) – è fondamentalmente quello di realizzare “reattivamente”
oltre alla propulsione, anche la sostentazione dando al getto
propulsivo una componente in opposizione alla gravità (figura 1).
Credo di poter vantare una priorità assoluta documentabile in tale
campo, in quanto ne ho iniziato lo studio sin dall'aprile 1942.
La notizia delle famose esperienze
coll'aeroplano “Campini-Caproni” e più ancora il loro mancato
seguito mi indussero ad approfondire le mie cognizioni superficiali
in fatto di motori a reazione e di aerodinamica del volo veloce.
L'esame dei diagrammi relativi all'efficienza degli aeroplani
ultraveloci, mi convinse sin d'allora della necessità di sopprimere
le ali realizzando una diversa forma di portanza.
Poiché ben poco si sapeva sul
motoreattore Campini e da quel poco risultava comunque che esso era
voluminoso e pesante, mi diedi alla ricerca di altri tipi di
propulsori a reazione che presentassero le necessarie caratteristiche
fondamentali, ossia: ingombro ridotto, e ragionevole peso. Trascurai
di proposito il rendimento, considerandolo appannaggio di ulteriori
evoluzioni e perfezionamenti, limitandomi al progetto di una macchina
che funzionasse per un tempo più o meno breve decollando sulla
verticale, traslando orizzontalmente per un certo tratto, librandosi
alla stessa quota, retromarciando orizzontalmente senza invertire la
rotta ed atterrando infine sulla verticale del punto di partenza.
Scartato il razzo ( a quell'epoca
ancora imperfetto) per il suo eccessivo consumo e per la difficile
regolazione, scelsi il propulsore Gussalli “a turbina inversa”
trasformandolo radicalmente e adeguandolo alla circostanza. Con i
dati sperimentali forniti dal Gussalli nelle sue pubblicazioni,
calcolai e disegnai un aereo monoposto, munito però di ridottissime
ali non portanti (ossia a profilo simmetrico e ad incidenza zero)
aventi esclusiva funzione stabilizzatrice trasversale. La relativa
relazione tecnica, presentata agli organi militari competenti due
anni dopo venne respinta perchè, anche rettificando alcuni
particolari errati, il rendimento del propulsore “a
presso-reazione” (come lo avevo disegnato [refuso: il termine
giusto è > designato – RR]) era praticamente inaccettabile, sia
per il fatto che la metallurgia del tempo non disponeva (in Italia)
delle leghe resistenti alle altissime temperature. Si ammise
comunque esplicitamente che se l'aereo non poteva essere realizzato,
il concetto informatore era fondamentalmente esatto e degno di più
lontani sviluppi.
Nell'immediato dopoguerra volli
sperimentare personalmente il sistema a turbina inversa ma, dato il
piccolo diametro del rotore impiegato e la velocità d'emissione del
gas inferiore a quella prescritta, il risultato fu negativo. Non
potendo, per ragioni economiche, ritentare la prova su scala
maggiore, abbandonai definitivamente tale tipo di propulsore per
dedicarmi allo studio dei turboreattori che nel frattempo si andavano
affermando e sviluppando. Poiché il loro peso e volume non
permetteva un'immediata applicazione, ideai perciò un tipo di
reattore radicalmente modificato, sebbene rinserrante in sé tutti
gli organi fondamentali delle turbine a gas classiche. Un modellino
ha regolarmente funzionato nel 1949fino alla sua autodistruzione,
causata dal materiale scadente e da una saldatura difettosa. Data la
primitività della costruzione, il rendimento è stato naturalmente
assai basso, ma un tipo più perfezionato è attualmente in
allestimento e da esso mi attendo migliori prestazioni.
Parallelamente – ma con altrettanta lentezza per le solite
difficoltà economiche, croce tradizionale ed inevitabile – procede
la costruzione del modello volante di “aeromobile aplano
siluriforme” (avio-siluro) destinato a ricevere i predetti
propulsori. Spero di poter completare entro l'anno il montaggio
dell'intero complesso e a prove fatte – se l'esito sarà positivo –
ritornerò sull'argomento.
A perseverare nella via intrapresa mi
inducono inoltre le diverse voci autorevoli che, negli ultimi anni ,
propugnarono le mie stesse idee.
Prima in ordine di tempo – almeno per
quanto mi consta – il gen. G.A. Crocco che, nel suo scritto “Il
superamento della barriera del suono in aviazione: nota III” (in
“Atti dell'Accademia nazionale dei Lincei” II n.2, febbraio 1947)
riprende in esame la questione del “corpo aerodinamico portante”
da Lui enunciata diversi anni prima, trattandola compiutamente dal
punto di vista analitico e giungendo alle seguenti conclusioni
teoriche. Supposto, a titolo d'esempio, che un aeromobile aplano
“tipo” presenti le seguenti caratteristiche: peso totale Q= Kg.
7800 – carico di captazione (equivalente al carico alare)
Q/omega=7800 (ossia omega = 1mq) - sezione maestra mq. 3 – Cr =
0,165 – coefficiente di spinta del reattore Cs = 0,35 –
coefficiente di captazione atmosferica, Cc = 0,69 – efficienza
portante del reattore Ep = Cs/Cc = 0,5 – inclinazione del getto
rispetto alla linea di traslazione, alfa = 31°, per una velocità
orizzontale (a quota costante) pari a M = 2 ( ossia circa 2400 Km/h)
ed una velocità allo scarico del gas di 600 m/sec. La quota di volo
“economica” risulta approssimativamente di 12 Km. Con un consumo
di circa 227 gr/ton/Km di carburante. Per M =3 (ossia intorno a
3600 Km/h) la quota economica sale a 21 Km. Ed il consumo ammonta a
circa 278 gr/ton/Km. Cifre di tutt'altro che facile e prossima
realizzazione, ma non proibitive.
L'ing. Vittorio Re tratta invece il
problema dal punto di vista dei siluri-razzo. Nell'articolo
“Considerazioni ponderali sugli stratomobili” (Rivista
Aeronautica, XXII n. ¾, marzo-aprile 1946) espone alcuni calcoli
relativi a proietti razzo del tipo V.2, suscettibili di percorrere
distanze orizzontali previa compensazione della gravità mediante un
getto od un insieme di getti. Peraltro le sue conclusioni sono
sfavorevoli a tale tipo di macchina, viziato da un formidabile
consumo che inversamente i dispositivi di captazione atmosferica
possono in varia misura attenuare. Un esempio pratico di tale
concezione lo abbiamo nel “Triebflugel flugzeug) aviorazzo
germanico incluso nelle “nuove armi”, sul quale i pareri sono
discordi data l'assenza di prototipi e di documentazione relativa.
Si assicura comunque che esso fu costruito, collaudato e poi
distrutto all'approssimarsi degli alleati. Constava (fig.2) di una
fusoliera fusiforme munita di impennaggio cruciforme e di mentre
brevi ali disposte a 120° tra loro. L'impennaggio prolungato ed
irrobustito manteneva al suolo il velivolo in posizione verticale.
Completavano la costruzione una cabina prodiera di pilotaggio, due
serbatoi per complessive 12 tonnellate di propellente e tre camere di
combustione con relativo ugello,collocate alle estremità alari,
secondo lo schema proposto nel 1927 dal prof. Hermann Oberth. Il
decollo avveniva verticalmente sino ad una quota superiore ai 20Km.
Dove l'aereo assumeva la posizione orizzontale, sorreggendosi su due
delle tre ali. Riducendo od aumentando la spinta di une dei tre
ugelli era possibile imprimere al velivolo movimenti di cabrata,
picchiata e virata, Per l'atterraggio, eseguita una planata per
risparmio di carburante, l'ordigno riassumeva la posizione verticale
e toccava lentamente il suolo decelerando il suo moto, mediante
l'azione frenante dell'apparato propulsivo. L'autonomia era
ovviamente ridottissima: poco più di una decina di minuti di volo.
In compenso, nella traslazione stratosferica si superavano i 2000
chilometri orari.
Cito infine il commodoro F. Whittle, il
ben noto pioniere britannico della propulsione a reazione che nel
corso di u na radiotrasmissione svoltasi nella seconda metà del '46,
espresse incidentalmente l'opinione che non la fusoliera e la coda ,
ma le ali dovranno in un futuro più o meno lontano sparire dal
corredo delle macchine volanti.
Negli anni successivi tacciono i
competenti e parlano le cronache perchè – esistano oppure siano
parte di allucinate fantasie – i fantomatici “dischi volanti”
possono a buon diritto essere annoverati fra gli aeromobili aplani
per la loro facoltà di sfrecciare orizzontalmente a velocità
vertiginose e di salire e scendere sulla verticale. La forma
discoidale non esclude però la siluriforme perchè, infatti, si
osservano anche corpi a forte allungamento classificati come “fusi
volanti”. Ripeto che non intendo parteggiare per chi crede o per
chi diffida: se realmente esistono, chi li fa e perchè li fa, il più
o meno prossimo futuro certamente ce lo farà purtroppo sapere. Sono
però dell'opinione che il salire o scendere verticalmente senza
l'ausilio di eliche o di altri meccanismi visibili non rappresenta
affatto – allo stato attuale della tecnica aeronautica – un
mistero od un miracolo come credono generalmente i più, perchè da
anni tento praticamente di conseguire lo stesso obiettivo ed è
naturale che altri – con infinitamente maggiore dovizia di mezzi,
tempo e danaro – possano averlo raggiunto per altre vie.
Per concludere, sia in pace che in
guerra, i vantaggi offerti dall'adozione delle formule convertoplana
ed aplana sono di per sé evidenti. In particolare, un apparecchio
capace di elevarsi come un elicottero potrebbe essere utilizzato non
solo da navi portaerei gigantesche, costose e vulnerabili – il cui
carico volante risulterebbe inoltre almeno triplicato – ma da
qualsiasi tipo di nave. A differenza del convertoplano l'aplano
richiederebbe un ponte d'involo od una piattaforma munita di
intercapedine entro la quale circoli dell'acqua pompata per evitare
l'arroventamento delle lamiere investite dal getto reattivo.
E' difficile tracciare con esattezza un
quadro completo dell'aviazione futura, perchè l'avvenire ci può
riserbare straordinarie sorprese, tuttavia dubito che le attuali
macchine volanti debbano cedere integralmente il campo perchè anche
le più ardite costruzioni per raggiungere quote e velocità nelle
quali dominano poi incontrastate, debbono progressivamente sottostare
a tutta una estesa gamma di velocità e di manovre che sono proprie
dei loro più umili confratelli – dal silenzioso aliante sino agli
attuali bolidi a reazione – la cui costruzione ed il continuo
perfezionamento saranno pèerciò altrettanto indispensabili per
l'avvenire come lo sono attualmente, per far si che l'emozionatissimo
“pinguino” divenga gradatamente un'aquila esperta.
Ringrazio Giancarlo D'Alessandro (CISU) per avermi fornito il materiale da cui è tratto questo articolo.
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www.cisu.org
Questo intervento di Renato Vesco sul
tema degli aeromobili “aplani” (senza ali) comparve su ALI – Settimanale d'Aviazione n° 4
del 10 febbraio 1952.
L'articolo è corredato da due
fotografie e da uno schizzo esplicativo (non riportati in questa
sede) di un grosso modello di aereo fusiforme appoggiato su un piano
di lavoro. Nessuna delle immagini è corredata da una didascalia
esplicativa, i riferimenti si trovano all'interno dell'articolo.
Come al solito Vesco inizia il suo
scritto riferendosi a realizzazioni o scritti di altri per
accompagnare poi il lettore al nocciolo delle sue argomentazioni.
In questo caso l'incipit è dedicato ad
Erik von Holst (non “Holste” come scrive Vesco) famoso studioso
di biologia umana ed animale e grande sperimentatore di aerodine ad
ala battente, ma l'obiettivo del ricercatore genovese è quello di
trattare la portanza reattiva applicata agli aeromobili aplani
fusiformi e discoidali.
In parole povere il tipo di propulsione
ottimale per i fantomatici DISCHI VOLANTI.
RR
MACCHINE VOLANTI DELL'AVVENIRE
La questione del “voliere” di E.
von Holste, descritto nel n. 30 del 1951 di ALI, si presta ad alcune
interessanti considerazioni sul futuro delle macchine volanti.
Innanzitutto occorre premettere l'osservazione che se lo schizzo del
“voliere transatlantico”fusiforme è opera dello stesso Holste,
egli in definitiva rinnega la sua idea primigenia poiché il
complesso propulsivo di cui alla schizzo in questione non è altro
che un banale rotore elicoidale potenziato reattivamente , le cui
caratteristiche erano note da tempo ed il cui impiego si va
progressivamente intensificando nel campo delle aerodine ad ali
rotanti.
Dall'esame delle fotografie relative al
modellino sperimentale risulta invece che gli studi dell'Holste si
riferivano alle aerodine ad ali battenti (ortotteri) come del resto
ne fanno fede gli espliciti richiami al volo della libellula e degli
insetti in genere.
Comunque sia, è problematico
rispondere affermativamente alla domanda finale che si pone il
redattore della notizia, ossia se il “voliere” non sia per caso
la macchina volante dell'avvenire. Indubbiamente il sistema ad
elicoplano è suscettibile di promettenti sviluppi, ma esso va
piuttosto considerato come una macchina di transizione fra
l'eliccottero e l'aereo di tipo classico.
Mi permetto perciò di dissentire
dall'ipoteca sull'avvenire espressa – sia pure in forma
interrogativa – da Siculus, perchè anche il “voliere”, al pari
dei suoi attuali confratelli alati, dovrà fare i conti con la
“barriera sonora”, (approssimativamente da 1150 a 1350 Km/h) e le
conclusioni che si possono trarre dai primi tentativi di “frattura”
di tale ostacolo anziché al velivolo propriamente detto come
architettura indirizzano verso il proiettile esiguamente alato con
velature a freccia o a triangolo 8ali a delta) di piccolissima
apertura.
Al limite si ha perciò la macchina
ideale, quella che non esito a definire la vera macchina volante
dell'avvenire: il fuso volante. Propulso reattivamente e con la
portanza alare soppressa (più o meno integralmente) a favore della
portanza di tipo “reattivo”, esso – vero proiettile
antropopilotato – presenterà al vento relativo il minimo
indispensabile di superfici penetranti, vale a dire la fusoliera e
il complesso degli impennaggi, le cui funzioni potrebbero peraltro
essere disimpegnate da un minuscolo reattore poppiero orientabili.
Nulla ci vieta inoltre di immaginare varianti di tale macchina munite
di piccole ali a carico unitario eccezionalmente elevato da
utilizzare nel volo orizzontale ipo ed iper-sonoro, limitando la
portanza reattiva alle fasi di decollo, atterraggio e superamento
dell'intervallo sonoro, nonché fusi con timoni parzialmente o
totalmente retrattili per il surrogamento del “getto” timoniero a
quote e velocità ordinarie. Decollo ed atterraggio si effettuano
naturalmente sulla verticale.
In sostanza, il concetto meccanico che
regge la teoria del fuso volante – che chiamo tecnicamente col nome
più appropriato di “aeromobile aplano” (= senz'ali) – è
fondamentalmente quello di realizzare reattivamente oltre alla
propulsione anche la sostentazione dando al getto una componente in
opposizione alla gravità. Dalla composizione vettoriale di cui alla
figura nel testo risultano chiaramente le condizioni funzionali della
macchina. Supposto che il punto d'applicazione della spinta S,
generata dal getto G, coincida col baricentro B del mobile , si ha
l'equilibrio delle forze in gioco quando la resistenza ponderale Q e
la “componente” portante P da un lato, la resistenza aerodinamica
di penetrazione R e la “componente” propulsiva T dall'altro
canto, rispettivamente si equivalgono: in tal caso il mobile trasla a
quota costante alla velocità massima cui compete il valore di R. Il
reattore ausiliario A ruotando sfericamente per circa 180° esplica
simultaneamente le funzioni di equilibratore e di timone, nella
posaviazione (volo librato) e nell'intervallo sonoro, fasi evolutive
della macchina volante in cui i timoni aerodinamici sono per loro
natura, assolutamente inefficienti.
Su questa via mi sono messo sin dalla
primavera dell'ormai lontano 1942 ma solo di recente ho potuto
iniziare la pratica sperimentale su scala ridotta e, nonostante le
iniziali incertezze e deficienze, valutare la bontà della mia
formula, fattore che mi induce a perseverare nell'impresa.
Le fotografie documentano lo stadio
attuale del mio lavoro sperimentale: la fusoliera contiene gli
elementi, parte finiti, parte appena sbozzati, necessari per il
montaggio del complesso volante e degli accessori fissi relativi. I
propulsori – ancora allo stadio di progetto – sono modellati
sullo schema dei tutrboreattori ma ne differiscono radicalmente per
la diversa conformazione ed accoppiamento degli organi componenti. Un
modellino sperimentale di “roto-reattore” ha regolarmente
funzionato ai primi del '49, autodistruggendosi a causa del materiale
scadente e della primitività della costruzione. Il rendimento è
stato ovviamente assai basso ma ciò rientra nelle normali previsioni
perchè compito del meccanismo era quello d'illuminarmi sui reali
problemi meccanici di funzionamento e costruzione.
Causa l'imperizia dell'operatore
fotografo, per fenomeni ottici che mi sono ignoti, purtroppo le
fotografie non ritraggono fedelmente la sagoma del modello in quanto
la profilatura delle stesso è stata da me curata in modo da sposare
l'eleganzad i linee alle necessarie doti di capienza della fusoliera.
E' chiaro comunque, che dal modello volante (radiocomandato) di
aeromobile aplano siluriforme “VE.RE 42/51” attualmente in
costruzione (lenta, molto lenta costruzione per le immancabili
strettezze finanziarie e per le difficoltà di reperimento dei
materiali d'uso aeronautico sul mercato genovese, prevalentemente
orientato verso i problemi del mare), ed eventualmente da altri tipi
a profilo discoidale e lenticolare ancora allo studio, non mi attendo
velocità eccezionali o velocità sbalorditive: scopo della
costruzione è la pratica dimostrazione delle possibilità di fusione
dei veloci aeroplani a reazione con le aerodine a decollo e
atterraggio verticali (elicotteri e simili) secondo uno schema òmio
personale (a cui ho lavorato con fede per ben dieci anni) che esula
completamente dalle vie battute sinora anche all'estero (
elicoplani, convertoplani, ecc.) per il conseguimento di tale
obiettivo importantissimo ed ambito per ovii motivi.
Come per ogni creazione del genio umano
anche il voliere, l'aplano, l'elicoplano, ecc. ecc. hanno il loro
“tallone d'Achille” in quanto se è inconcepibile una macchina
relativamente lenta che pretenda detenere il monopolio del trasporto
transatlantico o circumterrestre al quale decisamente s'addicono le
velocità ultrasonore (oltre 1250 Km/h), altrettanto lo sarebbe
un'altra macchina che salga a quote ultrastratosferiche per coprire
un percorso rettilineo di appena qualche centinaio di chilometri. S
delineano perciò dei distinti campi di utilizzazione ( delimitati
da particolari valori della velocità e della quota di volo) entro i
quali ogni tipo di macchina - dal lento aliante al superveloce fuso
volante – potrà svolgere le sue funzioni di trasporto aereo
attingendone il massimo rendimento. Ciò perlomeno sino a che un
nuovo tipo di carburante supertermogeno od una diversa forma
d'energia non si rendano disponibili su scala eccezionale e a
modestissimo prezzo, nel qual caso finirebbe per prevalere la
convergenza verso un unico tipo di macchina lenta-veloce (vero
“aeromobile integrale”), sintesi definitiva di tutte le creazioni
che la precedettero.
A parte le sporadiche innovazioni
dovute ai singoli ricercatori – a seconda del caso più o meno
ingegnose o strampalate – si è facili profeti pronosticando
l'avvento ufficiale di nuove forme energetiche per la propulsione e
la sostentazione degli aeromobili, ferma restando per il complesso
volante la forma fusiforme o discoidale che non si presta ad
ulteriori semplificazioni.
Dai micromagneti al magnetismo indotto
per rotazione nei corpi metallici; dall'esatta cognizione e
riproduzione della radiazione cosmica ionizzante alla scoperta
della reale consistenza del fenomeno gravitico sino alla conseguente
produzione di campi magnetici in opposizione a quello terrestre;
dalla repulsione elettrostatica alla captaziomne su scala industriale
dell'energia ad alto potenziale contenuta in quel gigantesco ed
inesauribile serbatoio naturale che è l'atmosfera terrestre ; dalla
superportanza dei cilindri rotanti alla levitazione dei corpi
metallici percorsi da correnti indotte ad alta frequenza con enorme
sviluppo di calore; dai termoreattori nuclearmente potenziati a
quelli utilizzanti l'espulsione unidirezionale dei prodotti delle
disintegrazione nucleare; dalla ionizzazione del propellente in campi
elettrostatici generati dalla disintegrazione atomica a tutti gli
ulteriori fenomeni che la scienza (sottolineo: la scienza, non la
tecnoòogia) quotidianamente ci rivela con impressionante crescendo,
le premesse per uno sviluppo diametralmente opposto all'attuale non
mancano davvero ed è soprattutto il fatto che l'elettrotecnica avrà
una parte preponderante, in un primo tempo integrando e
successivamente addirittura soppiantando la termotecnica che –
aeromotoristicamente parlando – oggi domina incontrastata. Ciò
che oggi è oggetto di pura speculazione scientifica potrebbe in un
domani più o meno remoto divenire argomento di pratica applicazione
su scala industriale, perchè non va dimenticato – ad esempio –
che gli elettromotori, la radiotelegrafia, la radiolocalizzazione, la
televisione, ecc.ecc. Altro non sono che gli evoluti pronipoti di
quegli umili congegni (pila, elettroforo voltaico, compasso
galvanico, ecc. ecc.) che i nostri avi consideravano innocui
armamentari per dotti curiosi o semplici macchine da laboratorio
didattico.
Quando tutto ciò diverrà realtà?
Fra un secolo, un lustro, un decennio? Impossibile risposta: forse i
misteriosi e prodigiosi ordigni che solcano periodicamente il cielo
non sono che l'avanguardia di creazioni sin da questo istante
studiate e allestite con gelosa segretezza per le decisive battaglie
di domani....
RENATO VESCO